Riformare il finanziamento ai partiti si può: con un sistema pubblico-privato

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Riformare il finanziamento ai partiti si può: con un sistema pubblico-privato

16 Aprile 2012

Come nel fortunato film  “ Il giudizio universale “ di Vittorio de Sica una voce sta annunciando il prossimo giudizio universale sulla politica italiana, ma i politici e i partiti non sembrano credere alla voce che riecheggia potente nella società italiana.

I casi Lusi-Margherita e Belsito-Lega hanno squarciato l’ultimo velo dietro il quale si nascondeva la politica italiana. Neanche i politici più avveduti sembrano comprendere appieno quello che sta accadendo, neppure il triunvirato di maggioranza ABC, soprattutto se la proposta di riforma del finanziamento della politica è quella che invano hanno tentato di inserire con un emendamento nel decreto fiscale. D’altronde essa è in linea con l’altra legge di riforma della politica quella costituzional-elettorale. Timida, difensiva, conservatrice. Il finanziamento è il sangue della politica, le idee e i progetti di società ne sono il cuore. Ma senza sangue, il cuore esplode.

I grassi partiti di questi anni non possono pensare di sopravvivere a loro stessi restando come sono specie in tempi di crisi. E la politica non può pensare più i cittadini come lontani dalla gestione del potere. Molto tempo è passato dalle masse non scolarizzate del dopoguerra e dalla partecipazione elitaria degli anni settanta. L’irruenza dei nuovi media non consente più un patto una tantum con i governati e i partiti non possono essere più quello che furono, ovvero macchine burocratiche guidate da un ristretto gruppo oligarchico che una volta ricevuta una delega in bianco si annida nelle istituzioni per cooptare, mediare, accordarsi e occupare le aziende pubbliche per permeare la società. Da tangentopoli agli ammanchi e alle distrazioni di oggi, passando per case posseduta a insaputa di Montecarlo, questo sistema dei partiti non è più percepito come rappresentativo da un bel segmento di elettorato. I partiti non debbono temere l’antipolitica, essi stessi sono diventati l’antipolitica.

Una riforma del finanziamento della politica deve essere il trampolino per salvare la democrazia italiana, non la corda con cui impiccarla. C’è una sola via possibile per il finanziamento dei partiti che racchiuda in sé la tradizione del finanziamento pubblico e soprattutto la sfida del fund raising anglosassone. Il mercato delle idee e dei progetti di società deve essere aperto e libero, non si può pretendere infatti di liberalizzare taxi, farmacie, negozi, professioni e sottrarsi alla competizione per la raccolta fondi per il mercato della politica. Come pure pretendere ancora l’anonimato sotto i 5000 euro quando il livello della tracciabilità dei pagamenti dei cittadini in contante è stato di recente portato a 1000 euro. Allora la proposta prevede una piccola quota pubblica uguale per tutti quei partiti che supereranno la soglia di sbarramento prevista dalla legge elettorale, il livello si può ricavare dalle medie di spesa di questi anni. Quarantacinque milioni l’anno, (che dimagrendo un po’ per la crisi possono essere venticinque, che a testa possono diventare due milioni e mezzo a testa).  Questo per non farsi dire che la politica sarà solo dei ricchi e dei miliardari.

Il resto del finanziamento dovrà arrivare dai privati. Innanzitutto bisognerà incentivare i cittadini finanziatori, offrendo una deducibilità fiscale per i contributi ai partiti. Nessun anonimato. Per i controlli, invece della burocratica commissione o dell’impropria e pericolosa commistione tra poteri con la supervisione della magistratura seppur contabile ( ma questo mi pare che nel ddl si siano guardati bene dal farlo), potrebbe funzionare invece un sistema a doppia chiave, come nei grandi caveaux. Di tutte le somme ricevute in donazione, i partiti dovranno versare all’atto della accettazione un 20% a un fondo presso il Ministero dell’Università, fondo esclusivamente dedicato alla ricerca, e su tutte le loro spese un altro 20% a un altro fondo destinato alla cultura ed alla difesa del territorio. Entrate ed uscite non potranno che combaciare e saranno così controllabili e controllate senza nessuna commissione e con un triplo vantaggio per i cittadini. Deducibilità fiscale per i singoli e le aziende, un ritorno fiscale per il mancato gettito che va però alla ricerca, alla cultura e al territorio, e sappiamo quanto ce ne sia bisogno. Il caso del Maxxi di questi giorni è emblematico come pure le tante emergenze del territorio.

Infine last but not least, un altro limite serio: è necessario vietare i finanziamenti dalle imprese pubbliche di nomina politica, nazionali e municipalizzate; non credo occorra spiegarne il motivo.

Senza dimenticare il quadro sanzionatorio: servono regole severe per chi sgarra con fondi neri, distrazioni e/o ammanchi. Nel caso si accertino delle irregolarità, il partito va fuori legge e gli eletti vengono destituiti. Quanto ai soldi delle formazioni partitiche in violazione della legge sul finanziamento, essi saranno assorbiti dai due fondi su ricerca e cultura. Che le lobby vengano pure, la luce non ha mai danneggiato nessuno, ma solo portato a comportamenti più seri e responsabili. Solo così la partecipazione dei cittadini potrà tornare passione per la politica e far dimenticare la ‘casta’. Altrimenti nel 2013 inizierà il giudizio universale per la politica italiana.