Riforme costituzionali: qual è la vera posta in gioco?

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Riforme costituzionali: qual è la vera posta in gioco?

11 Marzo 2014

Quale utilità hanno le Regioni? I livelli intermedi di governo locale servono davvero o sono soltanto enti inutili, come spesso vengono dipinti dai mass media all’opinione pubblica? Il dibattito è stato riaperto dal neo premier Matteo Renzi che ha ributtato sul tavolo il tema delle riforme costituzionali. Il Consiglio regionale della Lombardia ne ha discusso il 13 e il 25 febbraio durante due sedute tematiche nelle quali, su mia proposta, abbiamo approfondito il tema delle riforme approvando un ordine del giorno e un allegato condiviso a Roma con i Presidenti di tutti i Consigli regionali italiani.

Il tema delle riforme istituzionali è certamente di grande attualità nel dibattito politico ed è sotto gli occhi di tutti il formidabile attacco che in questi mesi si sta attuando nei confronti delle autonomie locali: dal patto di stabilità che ha amputato la capacità di azione dei comuni, alla prospettata cancellazione delle province, trasformata poi nella mera eliminazione dei livelli elettivi. Contrastare la deriva in atto è necessario innanzitutto per una ragione ideale: senza più alcun livello istituzionale tra il cittadino singolo e lo Stato, senza corpi intermedi, società di mezzo, autonomie locali e sociali ci sarà solo meno libertà reale, meno difese dalle invadenze dello Stato e meno benessere per tutti.

Non è certo un nuovo centralismo che potrà risolvere i problemi del Paese. Ma è ancor più grave che sfugga ai più nel dibattito attuale – tutto centrato sul tema dei costi della politica, delle indennità, degli sprechi (che certo, sia ben chiaro, vanno contrastati) – la consapevolezza che le autonomie rappresentano un baluardo reale per la libertà di tutti. Una società senza corpi intermedi è una società più debole e più esposta a tentazioni autoritarie. Il rischio che stiamo correndo è altissimo: sacrificare le autonomie locali, buttandole via senza renderci conto del danno che facciamo alla vita concreta di tutti.

Ambiti come la sanità, scuola, agevolazioni per le imprese, regole per il commercio, il territorio, l’ambiente, giusto per fare alcuni esempi, sarebbero veramente gestiti meglio delegando le competenze a Roma anziché sul territorio? Ecco perché la Lombardia sul tema del Senato delle Regioni, riforma del Titolo V e revisione degli assetti dei livelli intermedi di governo ha ritenuto di lanciare una proposta.

Innanzitutto, sul superamento del bicameralismo perfetto, attraverso la costituzione di un Senato delle Regioni e delle Autonomie che dovrà essere composto per almeno due terzi da rappresentanti provenienti dalle Regioni e per il terzo rimanente dagli Enti locali, entro un numero complessivo non inferiore a 80 e non superiore a 200, tenendo conto della popolazione di ciascuna Regione. Sulla riforma del Titolo V, l’idea è quella di lasciare la potestà legislativa esclusiva dello Stato solo per e materie sulle quali vi è un oggettivo e prevalente interesse nazionale.

È anche opportuno riflettere sulla riduzione del numero attuale delle Regioni italiane con l’obiettivo di costituire enti regionali più ampi (si può ad esempio scendere da 20 a 9), mantenendo le province o comunque enti di area vasta elettivi in numero inferiore all’attuale (50/60 anziché 107) e limitando al minimo la creazione di città metropolitane (ne bastano 3). La Lombardia all’interno di questo dibattito per prima ha tenuto una posizione costruttiva e di contenuto, consapevole del suo ruolo di traino del regionalismo italiano. Il mio auspicio è che ora anche in sede di Conferenza delle Regioni sia possibile ottenere una posizione unanime di tutti i governatori, così come già avvenuto durante la Conferenza dei Presidenti delle Assemblee legislative. Solo una posizione forte e univoca di tutte le Regioni potrà contribuire a preservare il patrimonio inestimabile delle nostre autonomie.

*Presidente del Consiglio Regionale della Lombardia