Rilanciare l’Italia è possibile: fare le riforme partendo da quella del lavoro

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Rilanciare l’Italia è possibile: fare le riforme partendo da quella del lavoro

20 Settembre 2011

Il taglio del rating sul debito pubblico italiano da parte di S&P era uno degli eventi più attesi nel panorama finanziario europeo. Dal momento che i fattori che determinano il giudizio sul rischio sovrano di uno stato inglobano, tra le altre cose, sia l’andamento delle finanze pubbliche – in primis l’andamento del rapporto debito/Pil – sia il clima politico di un paese e dal momento che, in Italia, entrambe le variabili sono peggiorate negli ultimi tempi, l’esito non avrebbe potuto essere differente. Lo sapevano tutti. E allora non stupisce vedere come le Borse europee abbiano tenuto alla notizia, non sprofondando, come qualcuno temeva, ma, al contrario, risalendo leggermente, con i titoli bancari che hanno registrato persino modesti guadagni. D’altronde, come ricorda qualche trader, peggio di così il listino non poteva andare, quindi dal punto in cui era poteva soltanto risalire. In sintesi, la notizia del downgrade era già stata completamente scontata dai mercati finanziari nei giorni passati.

L’evento del declassamento deve comunque far riflettere su due cose. Punto primo, come fanno le agenzie di rating a sintetizzare in un valore il clima politico di un paese? Certamente, tentando di "misurare" il livello di incertezza e di stabilità del governo, il clima di insoddisfazione della popolazione, il livello di corruzione e di conflittualità che si registra nel mondo politica. Dal momento che queste agenzie non sono servizi segreti, e pertanto non dispongono di alcun vantaggio informativo da "insider" dei palazzi della politica e, banalmente, perché questi signori vivono a New York e non nella bouvette della Camera, l’idea che si fanno dell’Italia è semplicemente quella che trovano sui mass media del Belpaese. Né più né meno di quella che può farsi un normale cittadino che si rechi in edicola o che accenda la televisione ogni giorno. Ora, è chiaro che, se da mesi la stampa nazionale insiste nel dipingere un Italia corrotta, conflittuale e un clima da guerra civile, queste agenzie non possono far nient’altro che prendere atto di questa realtà e di sintetizzarla nel famoso indicatore di cui si parlava, quello che concorre a creare il giudizio finale. Questa riflessione dovrebbe servire per far capire in che modo il giornalismo moderno è in grado di incidere, in via indiretta, sul destino della finanza pubblica italiana. L’immagine estera che l’Italia ha si riflette inesorabilmente nei rendimenti che il Tesoro è costretto a dover pagare nelle aste di emissione dei titoli di debito pubblico. Quanto più l’immagine del paese è deteriorata, tanto più elevati sono i rendimenti che il nostro debito pubblico deve sopportare. La cattiva immagine ha un costo, anche finanziario.

Secondariamente, si discute in questi giorni a proposito della necessità di un’ulteriore manovra di correzione dei conti (sarebbe la terza nel giro di pochi mesi), perché le due varate in estate non sarebbero sufficienti. A guardare bene i dati, invece, il problema non è affatto quello della finanza pubblica, che, dopo l’enorme sforzo fatto dal governo, comporterà dei benefici sui saldi primari pari a +3,8%del PIL nel 2012, +5,6% nel 2013 e +6,% nel 2014. Nuove manovre correttive, in sintesi, andrebbero evitate. La strada giusta è stata tracciata, ora ci vuole il tempo perché i frutti si vedano.

Il vero vulnus rimane la crescita, anche perché le manovre fiscali restrittive promosse hanno già prodotto, e produrranno, degli effetti recessivi sul PIL. E’ quindi necessario che il Governo si ingegni per sostenere azioni di ausilio alla produttività e alla concorrenza. Le liberalizzazioni, in primis, tante volte accennate, mai fatte sul serio. Le privatizzazioni. Le dismissioni degli immobili dello Stato in un ottica imprenditoriale per valorizzare il patrimonio pubblico. Un’analisi seria del mercato del lavoro, perché in troppi settori si ravvisa un eccesso di offerta (si pensi, ad esempio, a tutti i praticanti avvocati che non riescono a trovare lavoro in un mercato ormai saturo) ed in altri eccessi di domanda (panettieri, idraulici, elettricisti).

Questi mismatch settoriali creano perdite di Pil potenziale e di occupazione giovanile, poiché le cause di tale disoccupazione dipendono molto spesso non da una incapacità recettiva assoluta da parte del mercato del lavoro, ma dal non saper indirizzare la forza lavoro (e, conseguentemente, la formazione scolastica) verso quei settori, e ce ne sono molti, dove vi è maggior probabilità di trovare un lavoro. Molti giovani, ad esempio, ignorano quali siano le probabilità di trovare un lavoro per il quale hanno studiato, nel momento di scegliere una facoltà universitaria. Queste riforme sono a costo zero e non hanno impatto in termini di spesa pubblica. Andrebbero fatte ed andrebbero fatte in tempi rapidi.