Rileggere Caianiello serve a capirne di più sul rapporto tra giustizia e politica
19 Agosto 2011
Dopo le dimissioni di Angelino Alfano dal ruolo di ministro della Giustizia, dovute alla necessità di occuparsi a tempo pieno del Pdl di cui è diventato segretario, toccherà al nuovo ministro Nitto Palma sbrogliare l’intricata matassa della Riforma della giustizia, una riforma da sempre promessa ma mai attuata, anche e soprattutto per via delle resistenze delle toghe italiane. Certo, il contesto non è dei più favorevoli: per via della crisi finanziaria e del rigurgito anti “Casta” sembra che la credibilità della classe politica, nel suo complesso, vada diminuendo causando non poche difficoltà al Governo che, in questo momento di tempesta, sta cercando di pilotare il Paese e di portarlo al sicuro. E c’è da pensare che la magistratura, specie in alcune sue componenti, sia pronta a dare battaglia anche nel futuro prossimo. Si vedrà.
Nel frattempo, visto che questo è periodo di letture estive, si potrebbe meditare sulle risposte che ha dato all’annosa questione del rapporto tra giustizia e politica il grande magistrato campano e Presidente emerito della Corte costituzionale Vincenzo Caianiello (1932-2002), liberale autentico e uomo delle istituzioni.
Nel 2005, con il titolo di “Istituzioni e liberalismo” è stata pubblicata, a cura di Fabio Cintioli, per la casa editrice Rubbettino, una raccolta di saggi di Caianiello su vari argomenti: dal tema della cultura della legalità nel Mezzogiorno a quello delle authorities; dal parere (negativo) sul mandato di arresto europeo a quello sul conflitto d’interessi e altri ancora. Temi affrontati in piena libertà e cercando di mantenere, sempre e comunque, il massimo dell’obiettività e oggettività. Caianiello ha cominciato ad intervenire con maggior vigore e frequenza sulle questioni di attualità soltanto nell’ultima parte della sua vita, dopo aver sempre mantenuto il più stretto riserbo sulle sue posizioni ritenendo che il giudice non debba schierarsi in alcun modo per non compromettere la sua imparzialità.
In uno dei saggi intitolato “Giustizia penale tra funzione e missione” Caianiello scrive: “Molti comportamenti dei nostri magistrati (di rado appartenenti al ruolo di giudicanti) si collocano in una posizione ancora più estrema, rifiutando addirittura, con quei comportamenti, di sentirsi partecipi di una medesima sovranità. Essi sembrano agire e proclamarsi, in camicia o con i fax, come titolari di una sovranità parallela (non condizionabile in alcun modo da quella nella quale si collocano gli altri poteri) anche se priva di legittimazione democratica nel senso inteso dal costituzionalismo liberale (cui chi scrive resta inguaribilmente legato), ma acclamata dal circuito popolare-mediatico, lo stesso che viene giustamente condannato da alcuni intellettuali, ma solo a senso unico, quando non fa comodo alla loro parte. Insomma la giurisdizione vista non come attuazione del diritto nel caso concreto, ma come predicazione di un’astratta legalità”.
Parole forti e ancora attuali, con cui Caianiello ha criticato senza usare mezzi termini quella parte della magistratura che ha scelto, a suo avviso, di esorbitare da quelle che sono le sue funzioni per invadere la sfera del politico. Scrive ancora: “Chi si investe del ‘controllo della legalità’, difficilmente può essere disposto a vederlo ridimensionato. Un controllo peraltro che, stranamente, quando viene evocato, suscita reminiscenze di altri ordinamenti”. Il riferimento è alla vecchia Unione Sovietica, le cui logiche guida sarebbero state per molti versi simili. E nel saggio “Giustizia: torniamo alla Costituzione”, solleva anche un altro problema: il Csm non soltanto dovrebbe avere natura esclusivamente amministrativa con funzioni corrispondenti a quelle strettamente elencate dall’art.105 Cost., ma servirebbe anche “una legge dello Stato che disciplini i criteri di priorità per l’esercizio dell’azione penale, da attuarsi sotto l’Alta direzione del Procuratore Generale della Corte di Cassazione e attuata dai Procuratori generali, restituiti alla loro dignità”.
Le osservazioni di Vincenzo Caianiello, animate da profonda passione civile, possono essere condivise o meno anche e in ragione delle diverse posizioni assunte da ciascuno su un tema, quello del rapporto tra politica e magistratura, che notoriamente scalda gli animi. Una cosa però è certa: tutti dovrebbero meditare con onestà intellettuale sulle parole di questo insigne studioso: liberale vero e, cosa ancora più importante, uomo delle istituzioni.