Rimettere la persona al centro, sempre e comunque

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Rimettere la persona al centro, sempre e comunque

02 Gennaio 2012

Il nuovo anno, per la Puglia, inizia con due tragici lutti. Due storie molto diverse, ma che hanno in comune il sacrificio della vita.

Il primo lutto è per il pensionato che ha deciso di farla finita, dopo aver ricevuto tra Natale e Capodanno una lettera in cui l’Inps gli comunicava che avrebbe dovuto restituire  una parte della pensione riscossa in questi anni, 5 mila euro in tutto, in rate da 50 euro al mese. Settantaquattro anni  e 700 euro di pensione al mese con cui campare. I tranquillanti che gli aveva prescritto il medico in questi giorni non sono bastati ad attutire il colpo, troppa la paura di perdere la casa e di non farcela ad andare avanti. Quindi il suicidio, all’ora di pranzo del primo giorno dell’anno, quando l’anziano ha deciso di buttarsi dal balcone del suo appartamento al quarto piano nei pressi del centro di Bari. Ad accorgersi dell’accaduto il fratello, suo convivente, che andando a stendere i panni si è trovato di fronte la scena del familiare riverso senza vita nel cortile interno della palazzina. Tutto questo per un banale errore di calcolo e per una somma che a qualcuno magari non cambierebbe la vita, ma a chi vive con quattro soldi non solo la cambia, la distrugge. Perché la miseria avvilisce e fa perdere la dignità.

La seconda morte, che pesa anch’essa come un macigno, è quella di Gregorio Durante, il detenuto 34enne trovato senza vita da una guardia penitenziaria nell’infermeria del carcere di Trani il 31 dicembre. Un giallo, quello della sua morte, su cui i magistrati stanno cercando di far luce per accertare le responsabilità. Proprio quest’oggi verrà effettuata l’autopsia che stabilirà con certezza le cause del decesso. I familiari del detenuto avevano chiesto da tempo la sua scarcerazione, sostenendo che le condizioni di salute dell’uomo dopo l’encefalite virale che lo aveva colpito in passato fossero incompatibili con il regime carcerario. Invece, stando alla testimonianza dei familiari, l’uomo sarebbe stato trattenuto in carcere e gli sarebbero stati inflitti, in ultimo, tre giorni in isolamento diurno con l’accusa di aver simulato una malattia. Una punizione che avrebbe provocato il peggioramento delle sue condizioni fino a causarne la morte. Solo, in una cella. La Procura di Trani ha iscritto 14 persone nel registro degli indagati: andranno ricomposti tutti i tasselli prima di avere un quadro certo dell’accaduto, ma il dato che già emerge da questa storia sta nelle difficoltà, talvolta insormontabili, che la vita umana può incontrare in una realtà drammatica come quella carceraria; che dovrebbe avere per obiettivo la riabilitazione e il reinserimento nella società, ma che troppo spesso finisce per essere una gabbia dalla quale non si esce più. E’ lo specchio di una realtà ai limiti del dignitoso: solo nel carcere di Trani ci sono 439 reclusi a fronte di 233 posti letto regolamentari. Nel 2011 il bilancio, in tutta Italia, è  di 66 suicidi e 183 morti.

In queste due storie c’è tanto di reale e di preoccupante, perché tutte le forme di disagio messe ai margini, taciute o, semplicemente, sottovalutate, sono il lato oscuro di una comunità le cui basi di solidarietà non sono sufficientemente solide da sostenerne ogni sua singola parte. La vita del pensionato con 700 euro al mese e la paura di non farcela assume le stesse sembianze della prigione che comprime l’esistenza del detenuto fino, talvolta, a soffocarla. E, purtroppo, tutto ciò andrà avanti finché la persona, la sua vita e la sua dignità non verranno rimesse al centro. Sempre e comunque.