Ripartire dalla “concorrenza operosa” per rilanciare il centrodestra
11 Novembre 2012
La presentazione dei clubL’Occidentale per sostenere la candidatura di Alfano alle primarie del Pdl che si è svolta lo scorso venerdì, presso l’Hotel Excelsior di Bari, è stata anche e soprattutto un’occasione per tornare a guardarsi negli occhi, per parlare senza mezzi termini, per fare lo start up della situazione regionale raccordando la realtà cittadina e quella dei centri limitrofi in un’unica linea di azione.
Riunirsi il 9 novembre forse non è stato un caso per chi ama definirsi “occidentale”: si tratta infatti della data dell’anniversario della caduta del muro di Berlino, rievocata a solo pochi giorni dalle elezioni presidenziali americane che hanno riportato alla mente uno slogan che fu di due grandi presidenti, Ronald Reagan e Bill Clinton, politicamente distanti ma patriotticamente all’unisono nel pronunciare la famosa frase “United we stand”. In questo momento di ricostruzione, di iniziativa, in cui la voglia di ricominciare è forte, queste parole insieme alla volontà di ribadire il nostro essere occidentali, si mescolano dando origine al senso della giornata di venerdì.
Al di là dei particolarismi, all’interno del centrodestra italiano oggi c’è bisogno di fare fronte comune contro l’antipolitica sterile e distruttiva, che trova la sua massima espressione nel Movimento cinque stelle. E c’è altrettanto bisogno di archiviare quella stagione che ha visto sinora una parte consistente della sinistra italiana costruire la propria politica più sulla negazione dell’avversario che su una reale proposta per il Paese.
È proprio per re-innamorare quell’elettorato di centrodestra che oggi è confuso e spaesato dalle tempeste che passano sopra le nostre teste, che bisogna mettere in atto quella che Quagliariello ha definito una “concorrenza operosa”, tra le prime linee ma anche tra i militanti: una concorrenza sui contenuti, sulle competenze, che presupponga una legittimazione reciproca fondata sulla condivisione di valori comuni.
Le primarie, viste in quest’ottica, non sono un fine quanto piuttosto un mezzo, per andare accapo in un foglio che non è bianco ma sul quale si può e si deve scrivere ancora molto. Le primarie inaugurano piuttosto una campagna di riorganizzazione duratura, non piramidale, nella quale bisogna scansare chi per lungo tempo ha usurpato posizioni e voti, avendo ben chiari quali debbano essere i requisiti per il popolo degli occidentali: competenza tecnica, prestigio e consenso territoriale, capacità comunicativa diretta.
È finita l’epoca del “politichese” e, d’altra parte, non si possono abbandonare né l’Italia né la Puglia: le primarie sono un passaggio non salvifico ma obbligato, per rimettere il centrodestra in condizione di competere e di presentarsi di fronte agli elettori per chiedere loro la fiducia. Duri nel metodo e morbidi nell’approccio, questa la linea di azione di chi si definisce “occidentale”.
Bisogna ammonire chi crede che l’indifferenza e l’astensionismo possano rendere immuni dallo schierarsi e dall’essere partecipi di questo momento: si rischia, in questo caso, di demandare a terzi scelte che riguardano ognuno di noi, la sua famiglia, il suo salario, il trattamento fiscale e i servizi pubblici di cui usufruisce.
Coloro che erano presenti venerdì e soprattutto i giovani intervenuti in una lunga discussione vogliono esserci, ricordando anche loro che “United we stand”.
E il simbolo dei clubL’Occidentale è l’emblema di questi intenti: una bussola valoriale, per non perdere la rotta, appoggiata sul tricolore, l’unica bandiera per la quale varrà sempre la pena spendersi e sotto la quale ci si potrà rifugiare. Il verde della speranza, il blu del mare, il bianco e il rosso di sovranità libertà.