Ripensare COP21 tra energia e sicurezza

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Ripensare COP21 tra energia e sicurezza

30 Novembre 2015

La storia recente ci insegna che i vertici sul clima sono pieni di grandi proclami e prospettive virtuose ma incapaci di offrire una bussola ai Paesi industrializzati. COP21, il vertice che si apre oggi a Parigi, rischia di non incidere perché viene dopo il 13 novembre, un evento così tragico che ieri, quando i NoCop hanno protestato in malo modo in Place de la Republique, c’è stato un moto popolare di sdegno contro gli incappucciati che oltraggiavano i simboli della strage. Alla luce di quanto è accaduto, bisognerebbe allora ripensare COP21 legando questa iniziativa  alle questioni energetiche e alla sicurezza internazionale, due temi che Europa e America devono mettere in chiaro nel corso del vertice.

 

Una delle obiezioni che viene mossa più spesso dagli arcobaleno ai governi occidentali è quella di voler fare la guerra allo Stato Islamico mentre ci si allea con Paesi che non sono democratici ma ricchi di petrolio certamente sì. Non è un’obiezione infondata, le grandi compagnie e gli stati di mezzo mondo fanno affari con regimi che perseguitano le minoranze religiose, disumanizzano il corpo della donna, impiccano gli omosessuali, imprigionano i blogger dissidenti, usano la decapitazione come pena di morte, predicano l’odio antioccidentale e contro Israele. Dalle accuse mosse alla Turchia di comprare greggio al nero dal Califfo, agli inchini ai Saud, fino alla mano tesa verso gli ayatollah (cadute le ultime sanzioni, l’oro nero di Teheran farà impallidire quello dell’ISIS), dipendiamo ancora troppo da risorse naturali spesso macchiate di sangue.

 

Se l’obiezione è fondata, la conclusione degli arcobaleno è un’aporia: convinti che l’Occidente debba rinunciare alle fonti energetiche tradizionali per affidarsi totalmente alle rinnovabili, sponsorizzano un modello incapace di tagliare l’ambiguo cordone ombelicale che ci lega ai Paesi produttori di petrolio. Nel 2030 i due terzi del fabbisogno energetico mondiale sarà ancora soddisfatto dagli idrocarburi e le rinnovabili copriranno solo il 6 per cento dei bisogni. Questo vuol dire che per diventare indipendenti dalle risorse naturali altrui dobbiamo investire di più nel nostro cortile di casa, in tutte le risorse disponibili che abbiamo, vecchie e nuove. La strada più razionale è quella del mix energetico, una complementarietà tra gas ed energie pulite (c’è anche il nucleare) che potrebbe darci più autonomia.

 

Il Canada dell’ex premier Harper l’ha teorizzato spostando decisamente in avanti gli obiettivi sulla riduzione delle emissioni inquinanti e puntando sulla produzione di gas e petrolio “etico”, fatto in casa, prodotto con standard degni del ventunesimo secolo. Sappiamo che a COP21 nessuno riproporrà idee, pardon, valori del genere, ma bisogna riconoscere che seguendo l’esempio di Harper le democrazie occidentali potrebbero sostenere con maggiore determinazione una vera battaglia culturale nel mondo arabo, che faccia emergere nuove classi dirigenti in grado di superare il quadro politico conflittuale e caotico attuale.

 

I nostri modelli di sviluppo cambieranno, decarbonizzare l’economia occidentale non è un’eresia, la tecnologia ci aiuterà ad aumentare efficienza e sicurezza energetica, ma l’importante oggi è legare tutto questo alla dimensione geopolitica e non farne solo una questione di gradi centigradi e controverse proiezioni statistiche. Ripensiamo COP21, mettendo al centro sicurezza internazionale ed energia.