Rispunta l’Fbi per dire che gli hacker russi non aiutarono Trump

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Rispunta l’Fbi per dire che gli hacker russi non aiutarono Trump

20 Marzo 2017

Il direttore della Fbi ha fatto un altro show a Capitol Hill. Il direttore Comey aveva già dato spettacolo ai tempi della campagna elettorale, con uno stile cerchiobottista, aprendo e chiudendo e poi riaprendo le indagini sulla Clinton, dopo che l’Fbi e l’altra potente agenzia per la sicurezza nazionale, la Nsa, si erano trovate a dover fare i conti con le rivelazioni di WikiLeaks. Per non sembrare l’eterna seconda quando bisogna fare giustizia, l’Fbi aveva fatto scattare delle indagini su scandali e scandaletti, vedi il computer distrutto da Hillary, ma come dimenticare i “Podesta file”, le email sempre di Hillary finite per sicurezza secondo altri hacker sui cloud della Nsa, o della fine fatta dal povero Sanders, il rivale socialista di Hillary, segato dal comitato elettorale del suo partito. Tutto gestito con un equilibrismo pieno di accortezze da Comey.  

Oggi il direttore della Fbi torna a parlare davanti alla commissione del congresso e di nuovo non si capisce dove voglia andare a parare: ritira fuori la storia degli hacker russi, il più mirabolante esempio di “fake news” messa in giro nientemeno che da Barack Obama, quegli hacker che avrebbero “alterato” la campagna elettorale facendo vincere Trump. Comey spiega che altre e future elezioni potrebbero essere manipolate dai russi, ma poi, come se niente fosse, fa una giravolta e aggiunge: gli hacker russi non hanno avuto impatto sul voto degli stati chiave per la vittoria di Trump. Avete capito bene. Il Midwest americano, quella regione dell’America che aveva votato Bill e Obama ma delusa e arrabbiata per gli effetti della globalizzazione ha punito Hillary, i “wolverines” del Michigan, secondo il direttore della Fbi, non avevano certo bisogno delle imbeccate russe sul web per votare Donald Trump.

Comey come nel suo stile dice anche altro. Che Obama non ha spiato Trump come va twittando il Don ai quattro venti. Comey però è stato nominato proprio da Obama ed è ancora al suo posto proprio per la abilità con cui seppe muoversi all’epoca del clintongate, dando come l’impressione che l’Fbi (obamiana) si stesse elegantemente sfilando dalla partita, abbandonando Hillary a se stessa per evitare di venire risucchiata nei di lei scandali. Oggi probabilmente Comey torna a svolgere un ruolo simile, una specie di pontiere tra forze in conflitto di cui però non si capisce quanto ci si può fidare. Obama è uscito dalla Casa Bianca per mettersi a capo della opposizione a Trump, ben collegato alle strutture della forza e a quello “stato profondo” coltivato in due mandati da presidente, che insieme ai poteri forti si muove sognando l’impeachment di Trump. 

Ma siccome adesso l’aria è un po’ più amara per Obama e anche la signora Merkel sorride al Don quando lui le dice che tutti e due, Donald e Angela, sono stati spiati da Barack, siccome il clima è cambiato, ecco allora rispuntare Comey, che da una parte liquida la storia degli hacker russi dando indirettamente ragione a Trump e dall’altra spazza via i dubbi su Obama lo spione. Segnali di fumo? Un arrampicarsi sugli specchi per allungare il calumet della pace al nuovo presidente? Riuscirà il direttore a salvare capra e cavoli, restando al suo posto senza finire stritolato tra Obama e il Don?