Ritratto degli insuccessi di Italo Bocchino, dalla Campania a Fli
21 Gennaio 2011
Come evidenziato da numerose testate nazionali, uno degli esiti del voto parlamentare del 14 dicembre è stato il ridimensionamento mediatico di Italo Bocchino. Non sappiamo se si tratti di una scelta strategica, conseguente all’esito negativo della mancata sfiducia al governo Berlusconi, o piuttosto di un effetto della dialettica innescatasi, all’indomani del voto, tra le colombe e i falchi di Futuro e Libertà. Un dato è certo: il capogruppo alla Camera dei finiani ha collezionato una serie di passi falsi che ne hanno minato significativamente la credibilità. Un esito quasi scontato, in linea con la sua storia politica e personale.
In principio furono i cittadini della Campania a testarne la sincerità. Quando fu scelto nel 2005 come candidato presidente alternativo ad Antonio Bassolino promise agli elettori di centrodestra che, in caso di sconfitta, non avrebbe mai lasciato il suo scranno a Palazzo Santa Lucia, esercitando il suo ruolo di leader dell’opposizione. Parole al vento: neanche il tempo di registrare la sconfitta e già erano pronte le sue dimissioni. Nel Consiglio Regionale della Campania, dove la figura del capo dell’opposizione è prevista dallo Statuto, fu designato ad esercitarla un altro esponente di An, l’onorevole Francesco D’Ercole.
Le altre defaillances di Bocchino sono più recenti e riguardano la gestione della crisi politica verificatasi tra Fini e Berlusconi. Nell’ordine, la prima svista l’ha avuta quando ha svelato, urbi et orbi, di aver depositato all’indomani delle elezioni regionali, presso l’ufficio brevetti, il simbolo “Il vero centrodestra”, rilevando di fatto che l’operazione finiana era premeditata e precedente al redde rationem tra il presidente della Camera e il Cavaliere.
Con la mozione di sfiducia prodotta da Fli, Udc, Mpa ed Api, per la seconda volta, Bocchino viene colto in errore. Conquista la scena nazionale annunciando di avere 317 firme in calce al testo. Un tentativo di bluff malriuscito che evidenzia, piuttosto, un grossolano errore di valutazione politica. Da un lato ha messo in risalto che i numeri contro Berlusconi erano al limite, ma soprattutto ha innescato un processo di distinguo e autonomia politica da parte di quanti non avevano, di fatto, sottoscritto quel documento. A partire dai Radicali, che di certo non avrebbero lasciato a Bocchino la delega a parlare per nome e per conto loro ed hanno dimostrato, da subito, come quel numero non corrispondesse alla realtà. Una vecchia regola della politica: la mia pelle me la vendo da solo. L’esito del voto, come è noto, ha sconfessato quel dato e Bocchino ha dovuto incassare una sconfitta su tutta la linea.
Nella gestione della crisi entra anche la menzogna che ha minato, inevitabilmente, i fragili rapporti con i neo-alleati del Terzo Polo. Insomma, un altro passo falso di Italo. I giornali raccontano di un incontro segreto a Palazzo Grazioli con il premier, a pochi giorni dal voto. Un estremo tentativo di mediazione che fallisce. Di fronte alla notizia, il deputato aversano smentisce per non compromettere la sensibilità di Casini. Ma le bugie hanno le gambe corte e, nel giro di poche ore, tramite il nuovo format finiano lancia un videomessaggio dove si trova costretto a dire la verità. Peccato che, nelle stesse ore, sedici parlamentari tra i quali le cosiddette colombe sottoscrivono una lettera di invito ad una riapertura del dialogo tra Fini e Berlusconi, che Bocchino bolla come un’iniziativa lodevole ma tardiva.
Conosciamo tutti qual è stato l’esito finale. Ciononostante, la verve dell’Italo nazionale non si è esaurita e nelle comparsate televisive successive alla votazione, in particolare nella trasmissione Ballarò, ha continuato con il suo refrain. Con la bava alla bocca, ha proseguito nel ribadire di non voler rappresentare “la destra con la bava alla bocca”, ha stancato le menti con il ritornello della rivoluzione liberale mancata, ma soprattutto ha seguitato nella descrizione caricaturale del Pdl, dei suoi dirigenti e dei suoi militanti. Quel partito che ha rappresentato fino a qualche tempo prima come vice-capogruppo alla Camera.
Forse è stato questo il più significativo e clamoroso errore compiuto in questi mesi. Il ricorso a parole di scherno e derisione per un popolo al quale è appartenuto fino a poco prima, il tentativo costante di ridicolizzare dei suoi colleghi, hanno suscitato la reazione orgogliosa di quanti lavorano sui territori e nelle istituzioni in nome di quei valori condivisi sino al giorno precedente e che dovrebbero essere i naturali destinatari del progetto politico di una forza che vuole rappresentare il vero centrodestra.
La presunzione da maestrino con la penna rossa, pronto a suddividere il mondo del bene da quello del male, è stata la sua principale imprudenza. Un bagno di umiltà non gli avrebbe fatto male e, forse, come sostenuto da numerosi opinionisti, avrebbe potuto provocare meno danni alla strategia dello stesso Fini. Tutto ciò a patto che sia interesse di Bocchino tutelare il presidente della Camera. L’impressione, invece, è quasi quella che stia giocando una partita tutta sua.