Riuscirà Obama a non inciampare nelle mine iraniane?
17 Gennaio 2009
L’Iran s’avvicina sempre di più e sempre più velocemente alla meta (la bomba atomica), ma il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha passato più di due anni limitandosi a esprimere “seria preoccupazione”. Al momento l’Iran è sottoposto alle sanzioni Onu ed è in flagrante violazione delle cinque risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che gli chiedevano di arrestare i processi di arricchimento dell’uranio. In quanto trasgressore cronico dello statuto delle Nazioni Unite, il regime iraniano – un regime dispotico che appoggia il terrorismo e aspira a dotarsi della bomba atomica – dovrebbe quanto meno essere in lizza per l’espulsione dal novero dei 192 paesi membri delle Nazioni Unite. O sarebbe comunque lecito supporre che, nelle stanze dell’Onu, l’Iran debba essere qualcosa di molto simile a un paria.
Ma alle Nazioni Unite non è così che funziona. Nonostante quest’anno la Repubblica islamica non sia riuscita a ottenere un seggio tra i 15 del Consiglio di Sicurezza, il governo di Teheran è riuscito così bene, e in così tanti modi, a incastrare le Nazioni Unite che è davvero difficile trovare un angolo che l’Iran non sia attentamente impegnato a sfruttare a proprio vantaggio. Ciò dovrebbe essere fonte di seria preoccupazione per il presidente eletto Obama, il quale ha promesso di conferire alle Nazioni Unite un ruolo molto più ampio nella politica statunitense.
Allo stato attuale delle cose l’America fornisce, a New York, i principali locali per le Nazioni Unite, soffre i relativi ingorghi del traffico e cerca di mantenere il controllo sulle presunte spie (due guardie presso la Missione iraniana alle Nazioni Unite sono state espulse nel 2004 dopo essere state scoperte a filmare edifici importanti e il sistema di trasporto). I contribuenti americani finanziano pressappoco un quarto del budget totale delle Nazioni Unite, ora gonfiatosi ben oltre i 20 miliardi di dollari; sembra per di più probabile che resteranno incastrati anche con il conto di oltre due miliardi di dollari per il rinnovo del quartier generale dell’Onu attualmente in corso.
Nel frattempo l’Iran, che paga un misero 0,18 per cento del budget delle Nazioni Unite, meno di un centesimo del contributo statunitense, ha rimediato uno stupefacente assortimento di spazi d’influenza in ambito ONU, che dal prossimo anno includerà anche un posto nella direzione di almeno otto importanti agenzie. Una situazione che serve a legittimare quello stesso regime iraniano tanto impegnato a violare lo statuto delle Nazioni Unite e che, nel contempo, dà voce in capitolo all’Iran su quanti miliardi in fondi delle Nazioni Unite (la gran parte dei quali viene dalle tasche dei contribuenti americani) debbano essere spesi in tutto il mondo.
Per avere anche una vaga idea di questa situazione non è neanche necessario aspettare il verboso intervento annuale del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad sul palco dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Altro non serve che farsi una passeggiata per il grande atrio dell’edificio principale dell’Onu a Manhattan. In quell’atrio l’esposizione in assoluto più importante è costituita da una fila di otto ritratti, incorniciati in oro, della formazione dei segretari generali dalla fondazione delle Nazioni Unite alla fine della Seconda Guerra mondiale sino all’attuale segretario Ban Ki-Moon. Ma non si tratta di ritratti normali. Ognuno di essi è in realtà una sorta di arazzo di seta, e sotto l’immagine ricamata c’è intessuta un’iscrizione che recita: “Dono della Repubblica Islamica dell’Iran”.
I primi sette di questi arazzi furono accettati in blocco dall’ex Segretario Generale Kofi Annan nel 1997. L’ottavo, che ritrae Ban Ki-Moon, è stato da lui accettato lo scorso anno e messo accanto agli altri. E benché il dipartimento di Stato americano sembri aver dimenticato tale sfruttamento dell’atrio delle Nazioni Unite come vetrina per i doni iraniani confezionati per adulare con disonestà il grande capo del segretariato, si può scommettere che sia i delegati iraniani che Ban Ki-Moon siano consapevoli, quando guardano quei ritratti, che sotto il nome di ciascun segretario generale c’è iscritto il nome della Repubblica Islamica dell’Iran.
Ma quello è solo l’atrio. Il prossimo anno è previsto che l’Iran inizi un mandato di tre anni nell’executive board di 36 membri dell’Undp (United Nations Development Program), l’agenzia fiore all’occhiello delle Nazioni Unite. L’Undp è presente in 166 paesi e dissipa ogni anno qualcosa come nove miliardi in tutto il globo, di cui cinque miliardi dal proprio stesso budget e altri quattro miliardi per conto di altre operazioni delle Nazioni Unite. L’Undp è l’agenzia che all’inizio dello scorso anno, quando la Corea del Nord stava concludendovi il proprio mandato, è rimasta invischiata nel cosiddetto scandalo “cash-for-Kim” nell’ambito del quale si era scoperto che l’Undp, in violazione delle proprie stesse regole, aveva fornito denaro liquido per lo Stato nucleare canaglia della Corea del Nord e, al tempo stesso, come veicolo per il riciclaggio di denaro sporco per i network nordcoreani legati al traffico di armi e alla proliferazione nucleare.
Il seggio iraniano nel board dell’Undp conferirà automaticamente seggi nei board dell’Unfpa (United Nations Population Fund, il fondo delle Nazioni Unite per le attività in materia di popolazione) e dell’Unifem (il Fondo delle Nazioni Unite per le donne). L’Iran, inoltre, siede nei board di controllo dell’Agenzia delle Nazioni Unite per gli insediamenti umani e dell’Unhcr (United Nations High Commissioner for Refugees, l’alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati). Mentre l’appartenenza a certi organismi comprende ampi poteri di decision-making piuttosto che la gestione diretta delle varie attività, nel sistema delle Nazioni Unite tali seggi sono in grado di conferire un vantaggio pratico negli accordi privati che sono la vera base del business dell’Onu.
Anche sul fronte climatico, che le Nazioni Unite stanno attualmente trasformando in un business globale da svariati miliardi di dollari, l’Iran è un attore estremamente importante. Nel Consiglio dell’Unep (United Nations Environment Programme, il programma delle Nazioni Unite per l’ambiente) a Nairobi, l’Iran ha un seggio fino al 2011. E ancora: un iraniano serve presso il consiglio direttivo del Global Environment Facility (il Fondo globale per l’ambiente) che ha sede a Washington, e un iraniano è in servizio come primo vicepresidente dell’executive council della World Meteorological Organization, l’Organizzazione meteorologica mondiale con sede a Ginevra, dove l’Iran è anche uno dei 49 membri della Conferenza delle Nazioni Unite per il Disarmo.
Poi, a Roma, il veterano diplomatico iraniano Saeid Noori-Naeini è a capo del Consiglio direttivo della Fao. L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura ha a disposizione un budget di oltre 850 milioni di dollari all’anno al quale gli Stati Uniti contribuiscono con la quota più alta. Inoltre l’Iran siede al consiglio direttivo del correlato World Food Programme, il programma alimentare mondiale che lo scorso anno ha ricevuto il contributo degli Stati Uniti per oltre il 40 per cento dei 2,7 miliardi delle sue spese complessive.
Con un tale coinvolgimento da parte dell’Iran nei programmi delle Nazioni Unite per la distribuzione globale di cibo, non c’è da sorprendersi del fatto che il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad abbia partecipato, lo scorso giugno, a una conferenza per la sicurezza alimentare, nella quale ha sfruttato la piattaforma della Fao per raccomandare “la costituzione di un organismo forte e indipendente rispettato da tutte le nazioni per regolamentare equamente il mercato alimentare e organizzarne tutte le questioni correlate, dalla produzione al consumo”. Nel timore che qualcuno si chiedesse chi avrebbe potuto candidarsi a gestire un organismo tanto potente di regolazione delle forniture alimentari in tutto il mondo, Ahmadinejad ha esortato a sforzi universali per “l’ascesa al potere di manager puri e monoteisti”.
L’Iran, poi, è stato anche lo sponsor originario di un’iniziativa dell’ONU risalente al 2001 e denominata Dialogo tra le Civiltà. Proposto dall’ex presidente iraniano Mohammad Khatami e abbracciato da Kofi Annan, questo “dialogo” fu poi trasformato nel 2005 nell’Alliance of Civilizations, il suo successore con sede centrale a New York. L’Alliance consta di un direttivo costituito da 20 “personalità eminenti”, compreso l’iraniano Khatami, il quale, nel settembre del 2006, fece uso di questa connection – mentre l’Iran faceva marameo a uno degli ultimatum del Consiglio di Sicurezza sull’arricchimento dell’Uranio – per visitare gli Stati Uniti e prodursi in una serie di discorsi antiamericani. L’Alliance of Civilizations è parte della campagna che adesso alle Nazioni Unite sta raccogliendo le forze per imporre in tutto il mondo le leggi islamiche contro la blasfemia, per mettere il bavaglio alla libertà di parola.
Sul territorio iraniano le Nazioni Unite svolgono importanti iniziative; vi è un ufficio dell’Undp che in gran parte ha come dipendenti cittadini iraniani, e un ufficio dell’Unesco, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura, che ha funzione di fulcro per le operazioni dell’Unesco non soltanto in Iran ma anche in Turkmenistan, Pakistan e Afghanistan. L’Iran, inoltre, è uno dei 43 paesi nei quali le Nazioni Unite hanno tenuto esami per il reclutamento di nuovi membri dello staff professionale globale.
L’Iran non è nel governing board dell’Aiea, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica con sede a Vienna, tuttavia lo sono alcuni suoi compagni come Cina e Cuba. Ma lo scorso anno, l’ufficio dell’ambasciatore iraniano presso l’Aiea ha sfruttato la location offerta dalla capitale austriaca per mettere un annuncio sull’International Herald Tribune volto a sollecitare offerte per la costruzione di due reattori nucleari in Iran. Per ottenere le specifiche delle offerte, si chiedeva alle parti interessate di versare un contributo non rimborsabile di 15 mila euro su un conto presso la Bank Austria Creditanstalt che, per comodità del personale delle Nazioni Unite, ha strutture bancarie all’interno del complesso di uffici dell’Onu a Vienna.
Oltre a ciò, l’Iran ha influenti avamposti in due dei blocchi di lobbismo più potenti e sovrapposti all’interno dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite: il G-77 e l’Organizzazione della Conferenza Islamica. Quest’ultima postazione spiega come l’ambasciatore iraniano alle Nazioni Unite a Ginevra sia finito tra i 19 vicepresidenti del comitato di preparazione della conferenza sul razzismo delle Nazioni Unite del 2009.
La lista qui stilata delle attività iraniane presso le Nazioni Unite è ben lungi dall’essere completa, ma rende l’idea. Se Barack Obama sta ancora facendo conto sulla diplomazia forte per fermare la corsa dell’Iran verso la bomba nucleare ci sono davvero soltanto due modi per gestire questo campo minato delle Nazioni Unite: il presidente eletto potrà cominciare cercando di sbattere l’Iran fuori dall’Onu oppure cercare di scavalcare del tutto le Nazioni Unite.
© Forbes
Traduzione Andrea Di Nino