Rivera o Mazzola? Sfida Maroni-La Russa tra calcio e politica
11 Settembre 2012
“Rivera o Mazzola?”. Un amletico ed eterno dilemma a cui, ieri, hanno tentato di rispondere Ignazio La Russa, pidiellino e già ministro della Difesa nel governo Berlusconi e Roberto Maroni, Lega Nord ed ex titolare degli Interni, alla Summer School organizzata da Fondazione Magna Carta e Italia Protagonista al Grand Hotel Tuscolana di Frascati. Su un tema del genere, però, è solo l’appartenenza, il tifo a distinguere i due “contendenti” sotto l’aspetto dialettico: interista e dunque pro Mazzola La Russa; milanista “riveriano” Maroni. A moderare, Marino Bartoletti: giornalista sportivo, volto noto di RaiSport e collaboratore di Radio Kiss Kiss.
Ed è proprio Bartoletti ad introdurre il dibattito: “Rivera e Mazzola sono uomini che hanno fatto la storia di questo paese, sebbene non siano mai entrati nei libri di storia”. Entrambi piemontesi, ma diversissimi per provenienza familiare: padre operaio per il primo; figlio del grande Valentino, tragicamente scomparso nel disastro di Superga del 1949, il secondo. E differenti anche nelle maglie indossate nel corso delle loro strabilianti carriere: Rivera – soprannominato dal grande Gianni Brera “Abatino”, “un omarino fragile ed elegante, così dotato di stile da apparire manierato e, qualche volta, finto” – oltre alla casacca rossonera, ha indossato, in gioventù, anche quella dell’Alessandria; Mazzola, invece, è stato nerazzurro a vita. Strade divaricate, quindi. Milan ed Inter. Diversificate anche per i maestri avuti negli anni d’attività: Nereo “Paròn” Rocco per Rivera (“prima triestino, poi italiano”) e Helenio Herrera (“un meticcio vero”).
Eppure, un’ovvia e ineluttabile reunion: in Nazionale. Quando l’Italia, dopo decenni d’oblio calcistico, riprese ad essere competitiva in campo internazionale: vittoria agli europei del 1968 in finale contro la Jugoslavia, a Roma, e secondo posto ai mondiali di 2 anni dopo, in Messico, dopo la strabiliante semifinale dell’Azteca contro la Germania, 4-3. Rete decisiva, neanche a dirlo, di Gianni Rivera. Di quei campionati, inoltre, i più non possono non ricordare la famigerata “staffetta” avvenuta, però, solamente due volte: nei quarti di finale contro il Messico (“per un attacco di dissenteria di Mazzola nell’intervallo”, ha tenuto a precisare Bartoletti) e contro la Germania, in semifinale.
E i due protagonisti del confronto? In rigoroso ordine alfabetico, è La Russa al riguardo ad apirire le danze: “Non saprei proprio chi scegliere tra i due. Ma se messo alle strette, allora dovrò per forza di cose optare per Mazzola perché interista”. Per La Russa, poi, Sandro Mazzola ha avuto l’innegabile ed enorme pregio di emanciparsi in toto dalla figura di suo padre “montagna troppo grande da scalare” di vendittiana memoria. Pur con un a dir poco ingombrante presenza paterna sul groppone, poi, Sandro è riuscito a diventare ugualmente uno dei più grandi calciatori della sua generazione. E Mazzola, per La Russa, è stato l’autore di uno dei goal più spettacolari della storia del calcio. Coppa dei Campioni, 8 dicembre 1966, Vasas-Inter: dodici secondi in cui, prima di depositare il pallone in rete, Mazzola dribblò praticamente tutta la difesa avversaria.
Roberto Maroni, invece, autodefinitosi “milanista ben prima dell’avvento di Silvio Berlusconi alla presidenza” e “fazioso” e non tifoso, ha posto l’accento su un dato incontrovertibile: Rivera, a differenza di Mazzola, ha vinto il pallone d’oro, nel 1969. Tuttavia, è il “Rivera politico” (sottosegretario alla Difesa nei governi di centro-sinistra, ndr) ad aver deluso, e non poco, Maroni. L’Abatino, infatti, nel 1999 (nel centenario dalla fondazione del Milan, ndr) rifiutò di ricevere da Silvio Berlusconi il premio quale milanista del secolo. Ciò però, evidentemente, nulla toglie all’incommensurabile grandezza del calciatore.
Da tale eterna dicotomia, poi, alcune considerazioni sul calcio attuale, in relazione a quello dei Rivera e dei Mazzola: “Era un calcio diverso – è sempre Maroni a parlare – , molto più lento, giocato a 10 all’ora; in cui i valori sportivi, lealtà e rispetto reciproco si scorgevano netti. Il Paròn (Rocco, ndr) comandava e nessuno si permetteva di mandarlo a quel paese”. Ed ancora: “Ora è diverso. Siamo di fronte a un’assoluta distorsione dei valori capace di provocare danni a un’intera generazione”. Un sistema in grado ormai, ha aggiunto Bartoletti, di produrre un Cristiano Ronaldo (ala del Real Madrid, ndr) "triste" per uno stipendio non in linea con le sue “aspettative”: 10 milioni d’euro l’anno rispetto ai 12 richiesti. “Il calcio, ormai, è puro business. Un fiume di denaro impressionante; difficile fare i puri di fronte a tali cifre. Il fair play non esiste, se vi sono tanti soldi in ballo”, ha proseguito l’ex titolare del Viminale.
Ed allora? Allora non resta che aggrapparsi a tali figure, a chi – come Rivera e Mazzola – pur non essendo entrato nei libri di scuola ha fatto la storia d’Italia. Ripartire da loro, quindi, per il futuro e per un calcio un po’ più umano.