Roba da matti: io mi bacio col tricheco e Robi fa la scema con un altro
21 Agosto 2009
Paghiamo sei euro per l’ingresso alla Riserva Naturale dello Zingaro e ci consegnano un cappellino di carta e una cartina del luogo. Do un’occhiata: c’è un sentiero principale che costeggia il mare dal quale si accede a diverse cale in cui fare il bagno.
Ci avventuriamo.
“Ciccio, ovviamente ci fermiamo alla prima!” mi dice Roby dopo cinque minuti. Lo ha detto scherzando ma so che è quello che vuole effettivamente fare. Così, arrivati alla suddetta “prima”, ci fermiamo per far finta di consultarci, e decid(e)iamo di fermarci.
Il mare è davvero stupendo. Ci sono sassolini di tutti i colori, smaltati, che arrivano fino a parecchi metri dentro l’acqua, creando un gioco di colori sensazionale, e vederlo dall’alto mentre scendiamo è molto suggestivo.
Sulla “spiaggia” oltre a noi ci sono solo una famiglia di tedeschi e un gruppetto di quattro ragazzi anche loro di Roma.
La compaesanità col gruppetto non mi fa affatto piacere: mi piace staccare completamente da casa quando parto, e anche il solo incontrare miei concittadini in vacanza mi disturba. Ma fa niente, ci mettiamo dalla parte opposta dell’insenatura.
Ci tuffiamo praticamente subito e l’acqua è particolarmente fredda. Piacevole.
Sembra davvero di essere a una fonte di acqua purissima, per via dei sassi credo. Comunque la sabbia non dà la stessa idea: per quanto limpida possa essere l’acqua, la sabbia è sabbia, è “sporca” in qualche modo. Mentre i sassi, specie se così belli, fanno sembrare il mare più limpido.
Sorrido a Roberta e mi allontano a nuoto verso l’estremità della cala, voglio vedere oltre.
Mentre nuoto penso che qualcosa si sia incrinato con lei. Non a livello del rapporto, ma a quello di vacanza: i meccanismi da convivenza vacanziera, quelli cioè del ventiquattrore su ventiquattro, ci hanno portato, come è naturale credo, a saper ritagliare momenti per noi stessi nonostante la presenza dell’altro.
Così dopo dieci giorni non ho più voglia di fare tutto sempre insieme, ma magari di vivere qualche momento da solo di cui poi parlarle, come questo.
Quando arrivo all’estremità mi sporgo per vedere il resto della costa, e scopro che è tutto pieno di insenature! Mi viene voglia di visitarle tutte, ma ho un po’ paura, e alla fine decido di tornare indietro.
Quando arrivo sulla riva vedo la mia dolce pasticcina stesa a prendere il sole, e penso che è proprio un bel bocconcino! Però non ho affatto voglia di passare la giornata steso alla prima cala quando c’è tutta una riserva naturale da scoprire.
Così, dopo un po’ che sono sdraiato accanto a lei, scomodo per via dei sassi, le dico che vado a fare una passeggiata verso il resto della riserva. Ovviamente chiedendole prima se vuole farlo con me.
“Vado giusto a fare un giro, poi torno” sono state le mie ultime parole famose.
La riserva è davvero molto naturale! La flora e la fauna sono rimaste intatte nei secoli, tranne che per questo sentiero, e fa davvero caldo. Raggiunta la seconda cala infatti decido di fare il bagno, per refrigerarmi.
E quando scendo verso la riva, con mio grandissimo stupore, incontro Renata, il tricheco, come la chiamavano gli altri.
È lì con un gruppo di ragazzi.
Non le chiedo niente su chi siano, se uno è suo marito. Non mi interessa.
Siamo evidentemente felici di vederci, e la cosa mi stupisce.
Dopo scontate considerazioni sulla “piccolezza del mondo” le dico che ho bisogno di fare un bagno, che ero sceso apposta e che sto morendo di caldo.
“Ma sì dai, facciamoci un bagno!” risponde lei, senza che in realtà io l’avessi invitata a farlo con me, e ci tuffiamo.
Chiacchieriamo ancora un po’ di convenevoli finché non mi spingo oltre: sono troppo curioso e tanto non ho niente da perdere; le chiedo: “Ma che fine hai fatto l’anno scorso? Perché non ti sei più fatta sentire?”.
Mi impapocchia tutta una spiegazione tra questioni pratiche filosofiche che non capisco bene, poi si avvicina e mi bacia.
Aiuto.
Esco dal mare turbatissimo e quasi corro verso la mia Roberta.
Quando raggiungo finalmente la prima cala però, la trovo circondata dal gruppo di romani e la cosa mi dà altamente fastidio.
Il senso di colpa per l’episodio appena vissuto svanisce nel nulla, rimpiazzato da fervida gelosia: allora, li ammazzo tutti affogandoli, o a colpi di calcio volante all’indietro di tacco?
“Mario! Ma che fine hai fatto? Ti presento Emanuele, Francesco…”.
“Ciao ragazzi” dico fingendo di sorridere, e mi siedo in disparte.
C’è un’atmosfera tesissima e infatti dopo pochissimo si congedano con delle scuse.
“Cioè, non posso lasciarti sola dieci minuti che subito diventi preda consenziente di sciacalli?”.
“Ma cosa dici”.
“Passami il pranzo va’, che è meglio”.
“Ehm… è rimasto un panino solo che l’altro l’ho dato a quei ragazzi che stavano morendo di fame”.