Robert Frank, l’altra faccia dell’America on the road

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Robert Frank, l’altra faccia dell’America on the road

02 Novembre 2008

Nel 1955 Robert Frank sbarca il lunario come fotografo per alcune riviste americane: "McCall’s", "Vogue", "Fortune". All’attivo, una collettiva al MoMa (Museum of Modern Art). Frank non è americano: nato in Svizzera da una famiglia di origine ebraica, si trasferisce nella Grande Mela dopo la seconda guerra mondiale. Qui, con la sua macchina fotografica e il suo primo libro ("40 Fotos") sottobraccio, trova lavoro per "Harper’s Bazaar". Poi viaggia, alla ricerca di nuovi soggetti: Sud America ed Europa, Francia e Perù. Tornato negli Stati Uniti, trova amore e famiglia: sposa Mary Lockspeiser e ha due bambini, Andrea e Pablo. Con loro si trasferisce a Parigi per qualche mese: la sua casa, però, è l’America.

Il 1955 è l’anno della svolta. Grazie al suo "maestro" Walzer Evans – celebre per aver documentato la crisi di Wall Street del ’29 – Frank ottiene un finanziamento artistico dalla prestigiosa John Simon Guggenheim Memorial Foundation. L’idea è semplice: prendere la macchina fotografica e viaggiare in lungo e in largo per gli Stati Uniti, immortalando la vita quotidiana degli americani. Un documentario on the road, lungo due anni: tornato a casa, Frank si ritrova con 28.000 immagini. Per l’opera che ha in mente, "The Americans", ne selezionerà soltanto 83: le più rappresentative dello spirito americano nel bel mezzo degli anni Cinquanta.

Siamo nel 1957. Frank vorrebbe pubblicare un libro di sole fotografie, senza alcun testo esplicativo o poetico. Caso vuole, però, che proprio in quel periodo negli Stati Uniti venga pubblicata una delle opere più influenti di tutto il ‘900: "On the Road" del beat Jack Kerouac, un viaggio lungo le strade americane molto simile a quello di Robert Frank. Si racconta che i due – Frank e Kerouac – si siano incontrati su un marciapiede newyorchese, fuori da un locale: il fotografo mostra i suoi lavori allo scrittore, lo scrittore rivede nelle immagini i suoi viaggi e dice "Posso scrivere qualcosa per queste fotografie". Detto, fatto: l’introduzione è affidata al re dei beat.

Quello che gli appassionati di fotografia celebrano quest’anno è il cinquantesimo anniversario della pubblicazione di "The Americans". La prima edizione – "Les Américains" – esce a Parigi nel 1958: negli Stati Uniti vedrà la luce solo l’anno seguente, pubblicato dalla Grove Press. Se il fotografo viene pesantemente criticato, il libro vende bene grazie all’introduzione di Kerouac: ma perché la grandezza di Frank come fotografo venga riconosciuta universalmente, deve passare ancora del tempo. Oggi, "The Americans" è considerato un capolavoro da celebrare: con una riedizione internazionale del libro curata personalmente dall’autore (in Italia "Gli americani", Contrasto DUE 2008) e una mostra a Palazzo Reale ("Robert Frank. Lo straniero Americano", 14 ottobre – 18 gennaio), pionieristica nei confronti delle celebrazioni che il prossimo anno si terranno a Washington, New York e San Francisco.

"Robert Frank. Lo straniero americano" – a cura di Martin Gasser, Thomas Seelig, Urs Stahel ed Enrica Vigano – mette in scena un’ottantina di opere del grande fotografo svizzero, provenienti dal Fotomuseum Winterthur e dal Fotostiftung Schweiz di Zurigo. Negli anni dell’American Dream, Robert Frank ha avuto il merito di mostrare l’altra faccia degli Stati Uniti: quella della vita quotidiana, lontana da Hollywood e dal jet set universalmente celebrato. Frank gira per le città e scatta, scatta, scatta: fotografa tutto quanto possa rappresentare le molte facce dell’America. Uomini e donne comuni, la semplice povertà, palazzi riflessi in una pozzanghera, distributori di benzina nel mezzo del deserto. Il tutto, con contrasti fortissimi: il bianco e nero del fotografo non conosce mezze misure, punta dritto alla verità senza badare alla scala dei grigi.

Dice Frank che "il genio dell’artista consiste nel guardare il mondo che condivide con noi": guardarlo come facciamo noi, svelandone però la verità invisibile ai più. Perché "come tutta la grande arte che racconta la condizione umana", la fotografia "porta in sé l’identità dell’artista". Non si tratta mai di "vedute anonime", di "posti e gente anonimi": le fotografie "sono le parole del poeta, sontuosamente ambigue e perfettamente bilanciate – declamate, incorniciate sul muro, tenute in mano, stampate sulla pagina". Il fotografo, in viaggio per gli States, è allora un poeta con la macchina fotografica: i versi sono gli scorci che ritrae, il ritmo è un violento chiaroscuro.

In rappresentanza del Robert Frank regista, la mostra di Palazzo Reale proietta infine alcuni dei suoi video più celebri come "Pull My Daisy" (1959) o "About Me: A Musical" (1971). Tra i figuri immortalati su pellicola, compare anche Mick Jagger: dopo Jack Kerouac, anche i Rolling Stones contribuirono alla fama di Frank. Le sue foto, infatti, campeggiano sul quel disco-capolavoro che è "Exile On Main Street": ma sono ormai gli anni Settanta, e il genio creativo di "The Americans" ha lasciato spazio ad un maggior pessimismo dell’artista. Frank inizia a scarabocchiare molte delle sue creazioni, riempiendole di pensieri: ma nessun tratto di vernice potrà cancellare l’artistica lucidità del fotografo on the road, alla scoperta della (vera) America.

"Robert Frank. Lo straniero americano"
14 ottobre 2008 – 18 gennaio 2009
Milano, Palazzo Reale

Robert Frank, "Gli americani"
Milano, Contrasto DUE 2008
180 pp., E. 39.00