Roma, la destra e chi l’ha distrutta
08 Maggio 2016
Roma. Un concentrato solidificato di tremila anni di storia. Un locus dove attraverso la stratificazione dei manufatti si tocca con mano la dimensione temporale e il suo fluire. Qui tutto nasce. Qui tutto muore. Roma vive nell’alternanza del respiro dei cicli storici. In questa città vivono indelebili i segni di una grandezza che va ben oltre le opere, i marmi e le pietre e segna in maniera profonda il mondo occidentale. Ma la capitale è anche decisiva per comprendere la storia della destra italiana, fin da quanto il fascismo trovò proprio in questi luoghi la rappresentazione plastica dello splendore di cui il regime voleva rendersi attore.
Tu non vedrai nessuna cosa al mondo maggior di Roma. L’Inno a Roma da Orazio ci porta a quell’inizio del Novecento in cui la città eterna assume il ruolo di simbolo di una ritrovata unità del popolo italiano, nel mito, appunto, della forza centripeta della capitale. Ed è in questo spazio sacro unico al mondo che il fascismo alimenta la sua mistica e il MSI, nel dopoguerra, raccoglie un consenso politico, esteso dal centro fino alle periferie più popolari.
DAL REGIME AL “POLO ESCLUSO”. Un consenso interclassista che parla di un Fascismo e poi di un MSI politicamente capaci di farsi interpreti, anche contraddittoriamente, delle più diverse spinte e controspinte. Cosa fu il Fascismo da un punto di vista politico? Quello della vicinanza ai poteri forti del regime? Oppure quello socialisteggiante della Carta del Carnaro o dei 18 punti di Verona e della RSI? Una poliedricità che trova un suo momento di sintesi ultimativo nella figura di Mussolini. Lo stesso MSI eredita questa essenza multiforme che presto porta all’uscita dal partito di Ruinas, della cosiddetta ‘sinistra nazionale’ e di tanti altri verso l’allora partito comunista.
Una dialettica aspra e vivacissima quella interna al movimento sociale italiano che vide inizialmente contrapporsi le leadership di Michelini e di Almirante e poi di Almirante e Rauti. Tutto questo in un contesto nel quale il MSI rappresentava il cosiddetto polo escluso, rispetto al quale, ad eccezione della tragica parentesi del governo Tambroni, solo Craxi ebbe il coraggio di rompere apertamente il tabù del dialogo con gli “eredi del Fascismo”.
Dialettiche interne al MSI mai effettivamente risolte e politicamente marginali perché marginale era il MSI a causa di una esclusione, pressoché totale, da ogni ambito di governo. Anzi, quella separatezza, a forza di essere vissuta, diviene motivo di vanto, di orgogliosa alterità per la destra in Italia. Una comunità nella comunità nazionale nella quale si vive in un contesto di reciproco e schizofrenico riconoscersi e di contestuale rifiuto.
LA DESTRA DI GOVERNO. Fino a quel 1994 che, proprio a Roma, vede la sfida tra Rutelli e Fini che segna l’inizio della Seconda repubblica. Il mondo è cambiato. È caduto il muro di Berlino, finita l’Unione Sovietica, crollato il Patto di Varsavia. La Germania viene riunificata e tutto quanto era funzionale al sistema bipolare delle due superpotenze ne esce travolto. In Italia termina l’epoca della democrazia bloccata. Il PCI fa finta di non essere mai stato comunista, di non aver mai intrattenuto rapporti strategici con l’URSS e la Bolognina lava ogni peccato, mentre i post-missini entrano nel salotto buono della politica e non solo.
E’ un processo veloce, sostanzialmente di facciata, all’italiana, che non affronta in profondità i nodi irrisolti della nostra storia e che sulle ali degli eventi pone tutti dinanzi a una realtà assolutamente nuova, fino a poco tempo prima inimmaginabile.
Ha inizio il ventennio Berlusconiano. Un ventennio che ha cambiato l’Italia più di quanto gli italiani, di qualunque colore politico, possano pensare. Il MSI a Fiuggi diviene Alleanza Nazionale, includendo personalità provenienti da culture politiche diverse, ex DC, ex socialisti, repubblicani, liberali, e perde un Rauti irriducibile alla deriva di AN. Si prova a forgiare una nuova identità attraverso una serie di riferimenti valoriali, politici, sociali ed economici diversi, con un grande sforzo, che per vent’anni darà all’Italia una destra di governo.
Ma cosa è stata, in effetti, la destra italiana di Governo? La legge Bossi-Fini ? E poco altro, troppo poco altro. In questa sterilità progettuale si specchia e riconosce il fallimento della Destra di governo. Si occupano posizioni, anche importanti, ma senza metterle a sistema. Non esiste un progetto comune ed ancora peggio non si declina concretamente ciò che si afferma a colpi di spot. Non si da profondità alla propria azione con una oculata occupazione di spazi rispondenti ad un progetto politico più alto. Qualche promessa, qualche battuta, qualche intuizione felice, tanti cosa faremo ma pochissimi come faremo.
Un vuoto, una povertà che trova rappresentazione plastica nella scelta fatta quando Fini costrinse alle dimissioni Tremonti. Il Ministero dell’Economia, il ministero chiave del Governo, regalato a Domenico Siniscalco, un tecnico, neanche di area. Un vuoto percepito dagli elettori che al Nord iniziano lentamente a migrare verso la Lega, accompagnati da una serie di quadri politici ed eletti. Nel resto d’Italia, attirati dal magnete Berlusconi in Forza Italia.
GLI ANNI DEL RIFLUSSO. Alleanza Nazionale finisce lì. Termina nella sua incapacità a dare motivazioni a votarla. Finisce la spinta propulsiva di un’area politica che avrebbe potuto, anzitempo, rappresentare il vero ‘partito della nazione’ e degli italiani. Questo il motivo che porterà alla fusione nel PDL. AN, stretta fra Forza Italia e Lega, non tiene il passo sul piano politico. Su alcuni temi è un clone della Lega, su altri viene rappresentata meglio da Forza Italia attraverso il suo leader carismatico: Berlusconi.
Si arriva così all’ultimo governo di centrodestra che finisce sfibrato dallo sfiorire del suo leader e schiacciato dalla peggiore crisi economica dopo il 1929. Finito il PDL, persi circa dieci milioni di voti senza neppure una discussione, diminuita la capacità catalizzatrice di Berlusconi, emerge drammaticamente la debolezza politico-strutturale di una coalizione che aveva coagulato intorno a sé maggioranze schiaccianti.
Inizia il riflusso verso le case di origine. Ed anche in questo caso, scomparso Fini, il vertice di quello che fu AN ha dimostrato la sua pochezza, la sua inconsistenza di beneficiari casuali della storia. Mai un serio tentativo di richiamare tutti ad una riflessione complessiva su ciò che era stato e su ciò che si poteva profilare per un futuro che prefigura mutamenti epocali. Perché tutti presi solo da una preoccupazione, mantenere le proprie posizioni, la propria rendita.
Alcuni rimangono attaccati come ventose a Berlusconi, altri, nell’incapacità di immaginare un processo di analisi, rivisitazione, riconfigurazione, messa in discussione e rigenerazione recepiscono il peggio di ciò che si erano appena lasciati alle spalle e riannodano il velleitarismo del passato con quello presente. Il classico ritorno ad una Itaca che non c’è più.
Nasce con il placet e l’aiuto concreto di Berlusconi, fra contraddizioni e tristi dispute intorno alla fondazione di AN, il partito Fratelli d’Italia. Nessuna analisi di un mondo che, nel contempo, è spaventosamente mutato, nessuno sforzo alla ricerca di nuove sintesi in grado di ricostituire uno schieramento maggioritario, colmando quel pauroso vuoto politico che nel contempo si è prodotto non solo nel centrodestra.
È molto più facile cavalcare quell’antipolitica con la quale si è sempre mantenuto un certo feeling e quella politica da bar che va per la maggiore nel paese, in un susseguirsi di affermazioni apodittiche e prive di qualsiasi consequenzialità logico-politica. Meglio una comoda sopravvivenza all’opposizione che cercare di trovare difficili soluzioni in grado di proporre una alternativa concreta di governo.
E’ LA DESTRA DA CORRIERE DEI PICCOLI. Di tutta questa pochezza si è fatto forte Renzi, del nulla di una destra fatta di inutili urlatori incapaci di sviluppare un pensiero che abbia una profondità. Si rivendica la sovranità nazionale incuranti del fatto che l’Italia dipenda per il novanta per cento del suo fabbisogno energetico dall’estero, si cavalca il referendum no-triv e si blatera di energie alternative. Si discetta del rilancio del Paese ma si è allergici alle infrastrutture strategiche e non si vedono di buon occhio l’Alta Velocità o i comparti industriali che pure hanno ancora un qualche peso reale. Si inseguono i localismi più demenziali nel tentativo di intercettare un consenso che alimenta l’anticamera dell’inferno per il sistema-paese.
Ci si riempie la bocca di cose futuribili, ma non si forniscono mai soluzioni attinenti al qui ed ora. Il tutto si sposta magicamente ad un domani che sicuramente sarà migliore dell’oggi. Una sorta di sol dell’avvenire in salsa post-missina.
Operare e, soprattutto, capire l’importanza del programmare, del progettare, delle scansioni temporali per un domani migliore è più che giusto, è imprescindibile, ma i problemi dell’oggi non aspettano. Il mondo, purtroppo, non si ferma e come dicevano i nostri padri Hic Rhodus, hic salta. E invece, mai una proposta in grado di fornire, dati alla mano, soluzioni con una progressività temporale credibile. La politica, che delle decisioni dovrebbe essere l’arte, rifiuta la sua stessa funzione, perché nessuno vuole pagare un prezzo, preferendo omettere, addossando alla comunità nazionale costi che si pagheranno moltiplicati e in scarsa credibilità.
Molto più comodo continuare nel solco dei pifferai, dei dispensatori di zuccherini o dei Savonarola del terzo millennio. Molto presto però i problemi che facciamo finta di non vedere saranno così pesanti e gravosi per cui o si sarà capaci di farvi fronte con decisioni all’altezza, oppure, saremo semplicemente risucchiati da una devastante marginalità. Una marginalità che ci è già addosso e ci assedia con numeri che, al netto della propaganda, parlano molto chiaramente .
L’EUROPA E IL DNA DEL CENTRODESTRA. Riusciremo a trovare in Italia il luogo dove collocare le scorie radioattive a bassa intensità? Come pensate venga giudicato all’estero il nostro mandare a smaltire rifiuti in giro per il mondo? E l’annosa questione meridionale? Rimasta apertissima quando la Germania in venticinque anni ha riassorbito la ex DDR trasformando il Paese. Quanto continueremo a gonfiare senza senso i muscoli, dichiarando una disponibilità ad intervenire in Libia a condizioni che, lo sanno tutti, si realizzeranno molto difficilmente? Intanto nazioni distanti migliaia di chilometri operano in quelle terre da mesi con i loro corpi speciali e la Francia, pagando un prezzo altissimo, sta tenendo le posizioni nell’Africa sub sahariana, mentre gli inglesi hanno iniziato a intervenire sul campo nel Corno D’Africa.
Ci lamentiamo, giustamente, dell’intervento francese ed inglese contro Gheddafi ma con quale credibilità avremmo potuto fare fronte ad un attacco del quale siamo stati avvertiti ad azione in corso? Quali reazioni abbiamo messo in atto? Ed ancora, ci lamentiamo dell’India per i Marò, ma chi ha dato le regole di ingaggio? E la chiarezza della linea di comando? E quale supporto logistico di pronto intervento militare avevano i nostri soldati di stanza su imbarcazioni mercantili?
Daremo mai un senso reale al nostro essere il baricentro del Mediterraneo sia sul piano logistico che su quello geopolitico? Sapremo assumere dinanzi al mondo questa enorme responsabilità? Oppure continueremo ad essere gli inebetiti spettatori dell’operatività di Francia ed Inghilterra dovendone poi raccogliere gli effetti collaterali? Quale la nostra idea di Europa ? O pensiamo veramente che il domani sia degli Stati Nazione è che tutto si possa risolvere uscendo dalla Ue?
Potremmo continuare a scrivere pagine e pagine ma servirebbe a poco se non a far capire che non tutti hanno smarrito, al di là delle sigle e della retorica, il DNA di uno schieramento politico che si vuole proporre di ridare al nostro Paese forza ed orgoglio su basi reali.
Perché se rispetto a questa destra da Corriere dei Piccoli il segnale deve essere chiaro, altrettanto deve esserlo verso chi pensa che dietro questa assunzione di responsabilità di uomini e donne liberi, dietro questa volontà di ripensare gli schemi della vecchia politica e di una sterile antipolitica, si possa rimpastare la solita melassa neo-centrista tutta fatta di appelli ai valori non negoziabili ma, nel contempo, trattabilissimi. Quelli che nel contempo ci hanno regalato un pubblico come ammortizzatore sociale ,mentre ,nel contempo,firmavano trattati a cuor leggero che mettevano il collare a strozzo al paese .
Una forte discontinuità va assolutamente rimarcata verso quei signori del “recediamo con fermezza” che ci hanno condotto per mano a costruire un’Europa a loro immagine e somiglianza. Egoista, comodamente solidale o che compra l’altrui disponibilità e che, soprattutto, non vuole rischiare di farsi male, di sporcarsi le mani. Si piangono i morti in mare dei poveri migranti ma, sostanzialmente, si alzano le mani dinanzi all’orrore che incombe in tutto il Medio Oriente, nel nord e centro Africa. Ed ogni giorno assistiamo all’ipocrita dialettica degli speculari egoismi dei muri e del mercato della solidarietà. Veramente una bella Europa.
Lontani, lontanissimi i tempi quando, sul Limes, arcieri siriani, cavalieri numidi e legionari romani edificavano con il loro sacrificio ciò che ancora oggi ammiriamo e che ha posto le fondamenta profonde da cui ha tratto origine la nostra civiltà. Accettazione dell’altro ma, nel contempo, dissodando, costruendo, combattendo insieme in una reciproca contaminazione, , creando quel dialogo che può nascere solo dalla vera condivisione che è alla base della vera grandezza del nostro continente e dei suoi popoli. Certo, ogni epoca è mondo a sé, ma intanto siamo di nuovo a Roma ed un nuovo cammino è già iniziato.
[Fine]