Roma: meglio sconfitti ma leader nel proprio condominio

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Roma: meglio sconfitti ma leader nel proprio condominio

30 Marzo 2016

Il grande inganno sul quale sta pericolosamente giocando il centrodestra romano è basato sul presupposto che questo schieramento, in solitudine e senza alleanze, possa vincere le elezioni. Una falso clamoroso smentito da tutti i sondaggi e anche dai calcoli più elementari. Il centrodestra, anche coeso, rischia di non arrivare al ballottaggio e se arrivasse al secondo turno perderebbe, senza se e senza ma. Chi sostiene il contrario mente, sapendo di mentire.

 

La differenza fra la candidatura Bertolaso e quella della Meloni non riguarda la possibilità reale di vittoria (in entrambi i casi pari allo zero per cento) ma l’attrattività dei candidati rispetto all’elettorato e il plusvalore di voti che la candidatura a sindaco può portare al partito di appartenenza del candidato stesso. Fatte queste opportune e necessarie premesse, ci sono da fare alcune domande: perché si continua a perseguire una strategia che, nella migliore delle ipotesi (con partiti di centrodestra coesi), porterebbe all’insuccesso? Perché si brucia Bertolaso, si emargina Storace, si frantuma ciò che rimaneva di una alleanza malconcia e si imbocca la strada di un isolamento che darà come risultato una sicura sconfitta?

 

Cosa ci guadagnano i protagonisti di questa assurda vicenda? La risposta non può che trovarsi fra le scelte, diametralmente opposte, della prima e della seconda Meloni. Tra quel non mi candido, sto per diventare madre, e il mi candido a dispetto di quanto concordato con Berlusconi. Perché sono fin troppo evidenti i timori della leader di Fratelli d’Italia. Timori che prima le fanno lanciare l’improbabile candidatura della Dalla Chiesa e poi accettare quella di Bertolaso. Prima si intona “Bertolaso uber alles” poi, quando si capisce che l’ex capo della Protezione Civile rischia di inchiodare al poco per cento anche i consensi di Fratelli d’Italia, si molla il candidato.

 

Questo perché la Meloni può rischiare tutto tranne che il suo partito venga ridimensionato nella Capitale. Sarebbe una ferita mortale per la sopravvivenza del suo soggetto politico. Veder tagliare a Roma il numero dei consiglieri comunali e municipali ed in prospettiva i collegi per le nazionali, sarebbe la fine. Il disastro in uno dei pochi territori dove Fratelli d’Italia ha una percentuale decente.

 

Dopo aver scelto di non essere coprotagonista di una vittoria con l’unico candidato che poteva dare questa speranza, Alfio Marchini, se sconfitta deve essere, meglio una sconfitta che permetta di esaltare i propri colori, dando quella forza elettorale necessaria a capitalizzare gli obiettivi ritenuti prioritari. Marchini è pericoloso perché rischia di occupare spazio, politico e non solo, in quella che si ritiene casa propria, Roma. Altro che nonno comunista. Meglio leader del proprio condominio che secondi nella Capitale. Queste le logiche che sono dietro le scelte che porteranno il centrodestra al peggior risultato dal 1994 ad oggi.

 

Decisioni figlie di un approssimativo navigare a vista e di banali calcoli di piccolo cabotaggio. Tra veti, vertici inutili, ostracismi, marce indietro e in avanti si arriva a due candidature che non porteranno da nessuna parte la coalizione e che anzi hanno finito di sfasciarla ben al di là della dichiarazioni ufficiali. Perché è chiaro a tutti che questa vicenda segna il fine corsa per un’alleanza che annega tra mille contraddizioni e che se anche ritrovasse una unità di facciata con il ritiro di Bertolaso e l’indicazione univoca in favore della Meloni, non avendo alcuna possibilità di vittoria, il giorno dopo delle elezioni perse malamente, si aprirebbero le porte di una durissima resa dei conti.

 

Ma nel contempo, anche nella sconfitta, la candidatura a Sindaco permette di capitalizzare consensi per il proprio partito, cercando di ottenere gli unici risultati ottenibili, avendo rinunciato ad ogni possibilità di vittoria. Ovvero guadagnare voti di lista, apparire da protagonista per mesi sui mass media nazionali e locali e, dulcis in fundo, in virtù di una notorietà consolidata e con numeri negativi per il complesso dello schieramento, ma positivi per il proprio partito, rivendicare più posti nelle elezioni nazionali. Come si dice a Roma, di niente si muore, di poco si campa e d’altra parte, se il centro destra è in queste condizioni un motivo ci dovrà pur essere e quindi il famoso vaticinio di Nanni Moretti, con dei leader così quando mai si vincerà, appare quanto mai attuale anche per il campo avverso.