Roma, Quagliariello: Centrodestra non può stare con Renzi

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Roma, Quagliariello: Centrodestra non può stare con Renzi

29 Aprile 2016

Senatore Quagliariello, come valuta il passo indietro di Berlusconi su Marchini?

«In politica, a volte tenere duro sulle proprie idee e sulle proprie analisi paga. Eravamo pochi, raminghi ed esuli, a sostenere la candidatura Marchini. Il numero è cresciuto in queste ore».

Cosa significa questa scelta per il centro destra nelle prossime amministrative?

«Sono convinto che un centrodestra nuovo debba avere al suo interno componenti differenti, senza cadere nel rischio di farsi fagocitare da forze estreme. Bisogna lavorare per candidature di rinnovamento e questo accade ora a Roma, come accade da giorni a Milano».

Giorgia Meloni e Matteo Salvini non la pensano allo stesso modo: ne risentiranno i consensi a destra?

«Quando due aggregazioni politiche che si collocano nella stessa area non trovano una sintesi, non è necessario che si raggiunga subito un’unità. Se ci sono due proposte concorrenti, ma non nemiche, si possono trovare intese al secondo turno. Accadeva anche in Francia tra i liberali e i gollisti».

Quali saranno le prospettive generali nel centro destra, dopo le elezioni?

«Credo che si debba arrivare all’unione tra componenti liberali e cristiane, che si propongano in alternativa a Renzi. Su questo punto, Casini se ne deve fare una ragione, non esistono possibilità di alleanze con Renzi che vuole succubi e non alleati».

È un’ulteriore presa di distanze dalle scelte del Ncd?

«Anche per questo sono uscito dall’Ncd. Del resto, la prova del nove è stata la legge elettorale che porta chi era stato alleato fino al giorno prima del voto a dover scegliere tra entrare nel Pd o rinnegare cinque anni di lavoro. Allearsi con Renzi da destra non porta voti e, soprattutto, non è dignitoso. E la dignità in politica conta».

È una fase politica di grande confusione nello schieramento di centro destra?

«La lunga parabola dei partiti di massa nati nel secondo dopoguerra è durata fino agli anni Ottanta del secolo scorso. Poi è arrivata l’era dei partiti personali come Forza Italia e credo che anche questa fase sia in esaurimento. Si diffonde un forte senso di comunità, che è figlio della globalizzazione. Un leader non può prescinderne e deve essere parte di una comunità, non essere estraneo».

Significa più condivisione nelle scelte politiche?

«Non è più tempo di leader televisivo o alla Twitter. Oggi un leader deve essere più un presidente di un consiglio di amministrazione che un amministratore unico. Più condivisione e più voci a confronto per delineare davvero una nuova alternativa a destra».

Che prospettive vede nelle amministrative di Napoli?

«Spero che Lettieri trovi la forza di proporre qualcosa di nuovo, piuttosto che fare da polo di aggregazione solo di vecchi partiti. Altrimenti si pone nella logica di cinque anni fa».

Anche a Napoli Fratelli d’Italia ha in Marcello Taglialatela un proprio candidato sindaco. Questa scelta complica le possibilità di affermazione nel centro destra?

«Il problema non è che ci sia una proposta alternativa a due gambe, ma che alla fine si riesca a svecchiare il centro destra. Ci vuole capacità corale di inventare nuove idee».

Le recenti vicende giudiziarie in Campania alimentano critiche al Pd. È ormai definitivamente in soffitta l’antica diversità etica della sinistra?

«Questa presunta diversità non è mai esistita. Lo spiega assai bene Ludovico Festa nel suo romanzo sulla storia del Pci, in cui racconta le dinamiche di quel partito. Io sono un garantista e lo sono ancora di più con gli avversari politici. In materia penale, però, il tema, che riguarda centro destra e centro sinistra, investe la nostra capacità di legiferare».

Cosa significa?

«Stiamo producendo una legislazione che sembra un trattato sociologico privo di ipotesi penali. Si prevedono reati mal formulati, come il traffico di influenze, o l’omicidio stradale. Questo legiferare viene interpretato dai magistrati e noi, poi, ce ne lamentiamo. Dovremmo farci un esame di coscienza e ripensare a che qualità di leggi riusciamo a produrre».

(Tratto da Il Mattino, intervista di Gigi Di Fiore)