Romania: cresce l’economia ma anche l’instabilità politica

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Romania: cresce l’economia ma anche l’instabilità politica

14 Dicembre 2007

“Un paese con economia vibrante e vita politica caratterizzata dall’instabilità”. Questa è stata la concisa e chiara descrizione della Romania di oggi data dall’ambasciatore italiano a Bucarest, Daniele Mancini. Ed è proprio così, perché a quasi 12 mesi dall’adesione all’Unione europea, se si cammina per le strade della capitale visitando i luoghi che esattamente 18 anni fa segnavano con il sangue i prodromi della democrazia, ci si accorge delle tante auto nuove in mezzo a un traffico sempre più frenetico, di insegne pubblicitarie gigantesche ma anche di molte difficoltà e sofferenza da parte degli stessi cittadini. “Siamo contenti di fare finalmente parte dell’Unione – dice una signora che aspetta l’autobus sotto la  fredda e incessante pioggia – ma non ne abbiamo ancora avvertito i benefici”. L’opinione più diffusa da queste parti è che a trarre immediatamente vantaggio dalla membership europea siano stati soprattutto la fascia più alta della società – liberi professionisti, imprenditori e classe politica.

Un certo scoraggiamento si è potuto osservare anche nel responso delle urne alle prime elezioni europee dello scorso 25 novembre. L’evento ha risentito negativamente del clima di tensione che il paese sta vivendo. Inizialmente previsto per il mese di maggio, e poi rimandato a causa dell’instabilità politica, il voto per il Parlamento europeo è stato caratterizzato anzitutto dall’affluenza bassissima anche per un’elezione europea. Solo il 28,82 per cento degli aventi diritto si è recato alle urne, mentre una delle partecipazioni più basse si è registrata proprio a Bucarest con il 21,15 per cento. L’affluenza maggiore c’è stata nelle piccole città di provincia e della campagna – un po’ a sorpresa dato che in queste aree il livello di conoscenza e percezione delle istituzioni europee è assai basso.

L’astensionismo ha di per sé ha favorito il Partito democratico (PD) guidato da Emil Bloc (nonché dominio personale del presidente Traian Basescu) e il Partito socialdemocratico (PSD) dell’ex ministro degli Esteri, Mircea Geoana. Entrambi sono feroci avversari del Partito nazionale liberale (PNL) del premier Calin Popescu Tariceanu, il quale ha preso la metà dei voti di ciascuno dei primi due. Ciononostante, la vittoria è stata amara a causa soprattutto della bassa affluenza. Quest’ultima, di fatto, ha invalidato il referendum costituzionale sul sistema elettorale che si è svolto in concomitanza con le europee. La consultazione riguardava l’introduzione di un sistema elettorale maggioritario a doppio turno, voluto fortemente dal capo dello stato contro la volontà del primo ministro: Tariceanu, infatti, non ha mai nascosto le sue preferenze per un sistema misto con forte carattere proporzionale simile a quello vigente in Germania.

Ed è proprio nel difficile rapporto tra Basescu e Tariceanu che l’attuale situazione politica in Romania trova la sua chiave di lettura. Malgrado l’alleanza che nel 2004 ha consentito ai partiti di centrodestra di scalzare il PSD dal potere, i due principali protagonisti di questa svolta si sono con il tempo trasformati in acerrimi nemici. La loro rivalità ha caratterizzato gli ultimi mesi dell’attività di governo, spesso alimentando l’ipotesi di voto anticipato. Il venir meno del comune obiettivo dell’adesione all’UE ha solo fatto sì che tutti i nodi venissero al pettine. Ciò era inevitabile anche perché presidente e primo ministro hanno dimostrato grandi incompatibilità personali. Il primo, già sindaco di Bucarest, gode di popolarità soprattutto tra gli strati sociali più bassi, conquistati grazie alla grande franchezza sempre dimostrata nei confronti sia degli avversari che degli alleati. Il secondo, invece, proviene da una lunga esperienza di imprenditore. Non a caso Tariceanu è ritenuto un liberale nel senso puro e nobile della parola. Le sue riforme, tra cui in primis l’introduzione della flat tax (al 16%), portano il chiaro segno distintivo del liberismo. Questo gli attribuisce anche un certo fascino soprattutto tra i rumeni che “ce l’hanno fatta” e ora fanno funzionare i meccanismi dell’economia del mercato. Gli imprenditori e generalmente le persone con un più elevato livello d’istruzione non nascondono la loro ammirazione per questo self-made man.

Ma le tensioni non sembrano unicamente frutto di uno scontro tra forti personalità. Sono, alla fine, il risultato evidente di una latente crisi costituzionale, riconoscibile soprattutto nella mancanza o nell’inefficacia delle fondamentali garanzie di equilibrio tra i poteri dello stato. Il presidente è un convinto interventista e pensa di poter condizionare le scelte dell’esecutivo. E lo sta facendo, in questa fase, con un’inedita alleanza con la Corte costituzionale. Quest’ultima, di recente, in una sentenza ha persino confermato il diritto del capo dello stato di richiedere l’avvio d’inchieste penali dirette ai singoli ministri. D’altra parte, il presidente non ha paura di manifestare la propria insofferenza anche verso il parlamento accusato spesso d’inefficienza. L’ultima occasione è stata durante la sua visita ufficiale in Svizzera ove ha volutamente elogiato l’istituto referendario elvetico, contrapponendolo alle leggi che i parlamentari di casa sua spesso approvano ignorando il volere dei cittadini, loro elettori. 

Così, Tariceanu è costretto ad affrontare le continue mozioni di sfiducia del PSD, la defezione di alcuni suoi membri che hanno dato vita al Partito liberale democratico (PLD), nonché una serie d’inchieste della magistratura a carico di alcuni suoi ministri. Il partito di rappresentanza della minoranza magiara in Romania continua ad appoggiarlo, ma non si sa fino a quando riuscirà a resistere. Intanto – è un dato di fatto – il paese ha bisogno di stabilità in un momento in cui è chiamato a decidere su come spendere i quasi 32 miliardi di fondi strutturali che da qui al 2013 arriveranno da Bruxelles. Si tratta di tanti soldi, ma Bucarest deve avere la capacità di gestirli proficuamente. I settori d’impiego non mancano; al primo posto dell’agenda ci sono le infrastrutture e l’agricoltura, ma anche il turismo, i trasporti, la coesione sociale. Dall’utilizzo dei fondi dipenderà il mantenimento dell’invidiabile ritmo di crescita del paese (6,9% nel 2006). Un fattore indispensabile sarà la disponibilità di manodopera. La Romania è già pericolosamente vicino alla piena occupazione e sta preparando il lancio di un’iniziativa per attirare i propri emigrati e far rientrare loro nel circuito dell’economia nazionale. Altrimenti,  si sarà costretti a lavorare giorno e notte, come gli operai impegnati nella manutenzione delle strade di Bucarest.