Romney non vince ma convince. Può fare il comandante in capo

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Romney non vince ma convince. Può fare il comandante in capo

24 Ottobre 2012

Dopo il dibattito fra Obama e Romney, l’ultimo prima delle elezioni che si terranno fra tre settimane, la confusione regna sovrana, il volto del vincitore è velato, i sondaggi raccontano ciascuno la sua novella. Al momento non c’è più uno sfidante e uno sfidato, anche il linguaggio corporeo dei due è confuso: Obama è andato teso come un gallo da combattimento allo scontro sulla politica estera, proteso dalla sedia scrutava ogni battito di ciglia, ogni parola del rivale e attaccava di continuo; Romney ben accomodato in poltrona, un inamovibile sorriso etrusco sulle labbra, ha usato uno studiato tono presidenziale, ha ripetuto la parola “pace” all’inizio, alla fine, nel mezzo. Un po’ troppo.

Quieto, pacato, tutto il contrario del guerrafondaio che i nemici descrivono. Alla fine della discussione, i sondaggi della CNN ci dicono che Obama ha vinto col 48 per cento e Romney ha solo il 40 per cento dei consensi. Ma un altro sondaggio ci dice che per il 60 per cento degli americani Romney potrebbe essere il migliore “commander in chief”, cioè capo di stato maggiore, ruolo che spetta al presidente e che per il Paese meglio armato e più insidiato del mondo è uno dei più importanti.

In genere, il dibattito di esteri è poco determinante, lo sfidante conta sul fatto che agli americani sia rimasto impresso il Romney del primo dibattito, quello che vuole riportare l’America ad essere florida e imponente. Per questo, Romney ha giocato da avaro, ha trascinato ogni argomento verso l’economia con la guardia alta su quella che non è la sua materia. Insomma, è andato all’incontro con una strategia astuta anche se deludente per chi avrebbe voluto vedere Obama messo di fronte alla sua evidente insufficienza in politica estera, alla perdita di prestigio degli USA, agli errori compiuti con le rivoluzioni arabe.

Ma Romney ha lasciato correre dapprima le bugie e gli errori dell’amministrazione sull’assassinio di Christopher Stephens l’Ambasciatore USA in Libia. Romney è abilmente scivolato via dall’immagine di un tipo aggressivo con tendenze guerrafondaie. Parecchie volte, nonostante ne avesse l’occasione, è svicolato dalla polemica diretta, ha detto di essere d’accordo con Obama sulla scelta di sostenere la piazza araba, ha evitato di pronunciarsi su un eventuale intervento israeliano contro il nucleare iraniano, si è congratulato per l’uccisione di Bin Laden, ha approvato l’uscita dall’Iraq e il confuso abbandono dell’Afghanistan, preoccupandosi del Pakistan nucleare. Romney si è infilato nella politica estera dolcemente, evitando gli scogli di una materia che importa poco agli americani, mentre Obama, morso dal serpente della critica, ci è andato giù pesante: ha attaccato frontalmente Romney sulle sue opinioni sull’Iraq, sulla Cina, sulla Russia e su Israele toccando argomenti personali, tentennamenti, errori… finchè Romney gli ha ricordato che non era lui l’oggetto del dibattito, ma la politica estera. Obama ha avuto una battuta felice quando Romney lo ha attaccato sui tagli al budget della difesa sostenendo che gli USA non hanno mai avuto un numero di navi così ridotto. Qui Obama ha detto che l’esercito non ha più nemmeno la cavalleria e ha fatto ridere tutti. Ma ha sbagliato, perchè in Afghanistan l’esercito è entrato proprio con la cavalleria.

Lo scontro vero c’è stato in coda, sulla visione generale del futuro, giocata tutta sul Mediorente, su Israele e sull’Iran, oltre che sul finanziamento all’esercito. Per Romney, Obama ha messo in forse, in maniera irresponsabile, l’“eccezionalità” dell’America assumendo un atteggiamento di scusa, combattendo poco la jihad e il terrorismo, accettando tipi strani come Chavez. Ha sì, ucciso Bin Laden, ma non ha sconfitto Al Qaeda, l’America – ha detto Romney nella sua più felice battuta – non ha nulla di cui scusarsi, non ha mai cercato di sopraffare, ha invece portato la libertà al mondo. Obama ha accusato Romney di incostanza nelle opinioni, di confusione, di interessi personali. La mia politica medio orientale, ha detto, è la difesa dei diritti umani, cerchiamo di affossare Assad, non accettò l’atomica iraniana… ma è difficile trovare un riscontro di queste affermazioni, come è difficile pensare che con l’Iran gli USA abbia assunto l’atteggiamento più duro possibile.

Di fatto, ha ripetuto Romney, l’Iran è oggi quattro anni più avanti con le centrifughe, opprime i suoi cittadini e sponsorizza il terrore, e continuerà se non cambia il prsidente. Obama si è detto il migliore amico di Israele, ma gli ha ricordato Romney,”hai visitato l’ Arabia Saudita, l’ Egitto, la Turchia, e hai schivato Israele”. Obama ha reagito in termini personali, rispondendo che mentre Romney aveva portato là i suoi fund raiser, lui da candidato aveva visitato Yad Va Shem. Romney ha insistito, e ha buon giuoco; gli ebrei americani, da sempre liberal, potrebbero cambiare bandiera dato che davvero Obama sul Medio Oriente ha cambiato la linea americana.

Tratto da Il Giornale