Romney punta tutto su meno tasse e meno spesa. Una lezione per Monti
02 Gennaio 2012
Una delle chiavi per la vittoria elettorale di Mitt Romney alle prossime elezioni presidenziali sarà la capacità di convincere gli elettori della bontà del piano repubblicano per il rilancio dell’economia statunitense, travolta, come tutti gli altri paesi occidentali, dalla crisi internazionale dei debiti sovrani. Il debito pubblico della più potente economia mondiale ha cominciato da tempo a diventare, sempre più frequentemente, un argomento di discussione all’interno dello scontro politico, a causa del netto deterioramento della situazione dei conti pubblici federali.
Secondo il Bureau of Economic Analysis del Dipartimento del Commercio il debito statunitense ha toccato in dicembre i 15,18 trilioni di dollari, pari ad un rapporto debito/PIL di 100,012%. Anche gli Stati Uniti, quindi, hanno da poco aderito al poco ambito club dei paesi con la tripla cifra nel suddetto rapporto.
Romney è partito all’attacco di Obama, sfidando il rivale democratico sul terreno della spesa pubblica e delle tasse. L’offensiva del candidato repubblicano è partita con la proposta di abbassare congiuntamente le imposte personali, sugli affari e sugli investimenti. La perdita di gettito generata dall’abbassamento delle tasse verrebbe recuperata dal taglio della spesa pubblica, in particolare con il taglio dei dipartimenti governativi. Più nello specifico, Romney vorrebbe rendere permanente il taglio delle tasse lanciato dall’amministrazione Bush nel 2008, abbassando dal 35% al 25% l’imposta sulle società, eliminando totalmente le tasse sui dividendi e i capital gains per i contribuenti con un reddito inferiore ai 250,000 dollari annui ed abolendo la tassazione sulle proprietà reali. In cambio dell’ abbattimento della pressione fiscale, si diceva, Romney propone il taglio delle spese sulla regolamentazione del business, che costa 1,75 trilioni di dollari ed introdurrebbe un emendamento alla costituzione americana che preveda l’obbligo del pareggio di bilancio federale. Delle ricerche commissionate dall’entourage repubblicano mostrano come il taglio delle tasse genererebbe un sostanziale incremento di occupazione.
Nel frattempo, Romney ha lanciato sulla sua pagina personale di Facebook una petizione al fine di supportare il moto “Abbiamo la responsabilità morale di non spendere più di quanto preleviamo”. Un implicito riferimento al modello di pareggio di bilancio degli economisti classici, ed un atto di accusa ai rivali democratici, da sempre i più fervidi sostenitori della spesa pubblica.
Il progetto economico, di orientamento prettamente liberista, che Romney sta lanciando in America mostra numerose analogie con la strada da tempo tracciata anche dal centro-destra per l’economia italiana: la via per la crescita non può che passare per un radicale taglio delle tasse e un parallelo drastico ridimensionamento dell’ingerenza statale nella vita dei cittadini. Da questo punto di vista, la politica della spending review lanciata da Monti è apprezzabile, ma solo se porterà ad una riduzione sostanziale dei principali capitoli di spesa pubblica. Da rivedere completamente, invece, l’approccio al consolidamento dei conti pubblici seguito dal nuovo governo, che ha preferito inasprire il peso del fisco sui ceti medio-bassi anziché avere il coraggio di tagliare il costo del lavoro e ridurre il prelievo sul risparmio, assieme ad una incisiva politica di liberalizzazioni e dismissioni del patrimonio pubblico.
Sarebbe pertanto opportuna, da parte del neo-primo ministro, l’adozione di una politica rivolta nella suddetta direzione, come auspicato dal centro-destra, tale da scongiurare il pericolo di uno scontro tra le due visioni e garantire la prosecuzione del rapporto politico, che potrebbe, invece, deteriorarsi nel caso in cui Monti decidesse nuovamente di mettere mano al portafoglio degli italiani.