Romney sbanca in Florida ma la partita per la nomination non è ancora chiusa

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Romney sbanca in Florida ma la partita per la nomination non è ancora chiusa

01 Febbraio 2012

Romney wins big in Florida. Questo il titolo più diffuso nei media statunitensi sulle primarie Repubblicane in Florida. Nessuno si aspettava che Romney avrebbe ottenuto un risultato tanto roboante, il 46% dei votanti hanno votato per lui contro il 32% di Newt Gingrich il quale aveva raccolto una grande vittoria nello Stato del South Carolina solo dieci giorni fa, proiettandolo a frontrunner tanto in Florida quanto a livello nazionale.

In soli dieci giorni, Gingrich è riuscito a disperdere lo slancio elettorale conquistatosi, sommerso da un mare di attacchi da tutti i lati dall’establishment GOP (l’Occidentale ne ha dato puntualmente conto), mettendosi sulla difensiva, dando di sé un’immagine astiosa. Ovviamente aver perso la Florida – che di per sé conta molto con i suoi 50 delegati – non compromette la corsa degli sfidanti anti-Romney, ma certo ne ridimensiona le aspettative, a partire dal problema della raccolta fondi.

Di delegati Romney ne ha  66, Gingrich 25, Santorum 8 mentre Ron Paul per il momento resta ancora a bocca asciutta. Ci sono tre primarie, quelle del 4 Febbraio in Nevada ( 28 delegati) e poi Arizona (29 delegati)  e Michigan (30 delegati) il prossimo 27 Febbraio. In tutti e tre gli Stati Mitt Romney può vantare una largo margine sui propri avversari. Di fatto Gingrich, Santorum e Paul potranno tentare di rifarsi solo durante il super-Tuesday del prossimo 6 Marzo, quando in ben 9 Stati si terranno contemporaneamente le primarie, con all’incirca 437 delgati “in palio”.

Per coloro che intendono sfilare lo status di frontrunner a Romney, riconquistato ovviamente con la vittoria nel Sunshine State (a onor del vero il sito RealClearPolitics nella sua media dei sondaggi di gradimento dà ancora Newt Gingrich in vantaggio su Romney di 2,5 punti percentuali), il vero problema resta il reperimento dei soldi. Romney ha potuto spendere, solo in Florida, 18 milioni di dollari di campagna elettorale a fronte di 3 milioni di dollari spesi da Gingrich. La pecunia insomma ha fatto, fa e continuerà a fare la differenza.

C’è poi il fattore organizzazione: Mitt Romney può contare su una apparato di campagna più strutturato, meglio finanziato e che gioca in anticipo sugli altri candidati. Un vantaggio competitivo che compromette qualsiasi surge da parte degli altri candidati. Per quanto la strada appaia segnata – e certi che il team Romney sempre più guardi alle elezioni generali che lo vedranno opposto con buona probabilità al presidente Obama – c’è ch insinua che questo o quel candidato potrebbero comunque entrare in corsa in mancanza di una chiara e unificante candidatura che metta d’accordo tutti e non spacchi il GOP attorno alla linea di frattura conservatori/moderati, rappresentata esattamente dal binomio antagonista (a tratti auto-elidente) Mitt Romney – Newt Gingrich.

Non a caso, alla vigilia delle primarie in Florida di ieri, Fred Barnes, firma pesante del settimanale conservatore ‘The Weekly Standard’, buttava lì la possibilità che l’ex-governatore del Sunshine State, Jeb Bush, fratello del presidente George W. e figlio del presidente  George H. W., potesse ritagliarsi un ruolo nella corsa alla nomination Repubblicana. Come noto, Jeb Bush non ha voluto fare alcun endorsement in Florida. In una bella intervista proprio all’ex governatore apparsa su ‘Il Riformista’ qualche giorno fa, Bush ribadiva di non voler mettersi a fianco né di Romney né di Gingrich, anche per le loro posizioni in materia d’immigrazione, capitolo sul quale i fratelli Bush hanno sempre dimostrato una certa forma di eterodossia rispetto alle tradizionali posizioni restrittive del GOP in materia.

Per Barnes la mossa della neutralità di Bush in Florida fa parte di una strategia che lascia Bush con le mani libere nell’immediato futuro. Per lui secondo il co-direttore di ‘The Weekly Standard’, Jeb Bush potrebbe emergere come candidato di compromesso qualora si giungesse alla nomination Repubblicana con un partito diviso a metà tra moderati e conservatori. Secondo possibile ruolo: potrebbe essere un candidato vice-presidente tanto per Romney che per Gingrich. Terzo, Jeb Bush può giocare il ruolo di king maker. Fantapolitica? Forse. Ma non è detto che la partita “candidatura Repubblicana” sia finita e che Romney diverrà effettivamente il candidato GOP. Il più papabile forse, ma nulla è ancora certo: ha solo 66 delegati e gliene servono ancora 1044 per aggiudicarsi matematicamente la nomination. Big number!