Russia e Turchia dopo il 24 Novembre

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Russia e Turchia dopo il 24 Novembre

05 Dicembre 2015

L’abbattimento del caccia russo da parte della Turchia rappresenta probabilmente il più grave incidente accaduto nella storia dei non facili rapporti tra i due Paesi dalla fine del secondo conflitto mondiale. Anche se la dinamica dell’episodio rimane ancora da chiarire sotto diversi punti di vista, è tuttavia evidente come l’azione rappresenti un segnale di come la politica di Ankara e Mosca riguardo la crisi siriana sia entrata in una fase di profondo contrasto, e questo nonostante negli ultimi anni i rapporti economici e di cooperazione energetica tra Russia e Turchia abbiano conosciuto una fase di forte espansione.

 

Dall’esplosione della rivolta nel 2011, il governo turco ha assunto una linea ostile verso il regime di Damasco, anche se la politica di Erdogan è stata comunque criticata da più parti per la sua ambiguità, visto che se da un lato Ankara si è posta in opposizione ad Assad, dall’altro però si è ben guardata dal fornire un supporto attivo alle milizie curde impegnate nel contrasto alle forze dell’ISIS, temendo in proposito come questo potesse spingere i curdi residenti all’interno del territorio verso nuove rivendicazioni autonomiste. Al contrario, il Cremlino in questi anni ha sempre espresso la sua contrarietà ad ogni possibile azione internazionale contro Damasco principalmente per due ragioni. La prima è di natura strategica, in quanto il crollo del regime di Assad priverebbe Mosca della base di Tartus e, di conseguenza, del più importante scalo per la flotta russa nel Mediterraneo. La seconda è che la Siria rimane tuttora uno dei principali clienti dell’industria militare russa la quale vanta inoltre anche dei forti crediti verso il governo siriano.

 

Se tra Mosca ed Ankara già esistevano quindi dei contrasti riguardo la gestione della crisi siriana, questi sono andati amplificandosi dopo la decisione russa di intervenire direttamente nel conflitto siriano presa alla fine di Settembre. Ufficialmente decisa per contrastare l’azione dell’ISIS nel timore che il fondamentalismo islamico potesse espandersi nella Russia meridionale e nel Caucaso, l’azione del Cremlino nascondeva in realtà un duplice obiettivo politico. Sul piano internazionale, l’intervento aveva lo scopo di puntellare il regime di Assad in un momento particolare critico per Damasco che in estate aveva subito una serie di pesanti sconfitte a cominciare dalla perdita della località di Palmyra, mentre su quello interno l’operazione serviva a rafforzare l’immagine della Russia come potenza in grado di esercitare la sua influenza sullo scenario internazionale nonché quella dello stesso Putin, e questo in una fase in cui la situazione in Ucraina non stava evolvendosi in maniera favorevole al Cremlino e le sanzioni economiche internazionali stavano portando un colpo assai pesante all’economia del Paese.

 

Da allora lo scenario strategico è radicalmente cambiato. Come ha ricordato in una sua analisi il New York Times, l’azione russa ha dimostrato che la Turchia può fare ben poco per contrastare la sempre maggiore intraprendenza militare del Cremlino, anche perché le azioni dell’aeronautica russa si concentrano sulla parte settentrionale della Siria dove risiede una consistente minoranza turcomanna appoggiata da Ankara in chiave  anti.Assad. Gli attentati di Parigi hanno poi ulteriormente complicato la situazione mostrando come Ankara e Mosca seguano due linee politiche quantomai differenti. Se da un lato Hollande ha aperto a Putin nell’intento di formare una coalizione anti – ISIS, dall’altro la scelta di Parigi non ha di certo convinto Ankara, per la quale l’obiettivo prioritario resta la sostituzione di Assad. E’ evidente infatti come lo scopo di Ankara sia quello di acquisire un ruolo primario nelle future discussioni in cui si definirebbe l’assetto della Siria del dopo Assad, ma per questo è necessario che la Turchia possa disporre di un’area d’influenza nella parte settentrionale del territorio siriano.

 

Di fatto, le azioni russe quindi avrebbero il duplice obiettivo sia di colpire i gruppi ribelli turcomanni anti-Assad che di indebolire il futuro ruolo turco nelle vicende politiche siriane. E non è un caso che, a detta di diversi analisti, il progetto di Ankara di istituire una “zona cuscinetto” alla frontiera con la Siria per impedire un flusso incontrollato di profughi verso la Turchia sembra destinato a non trovare applicazione, mentre un ulteriore motivo di preoccupazione per il governo turco viene dal possibile dispiegamento di “volontari” russi sul terreno, un’eventualità che per il vice Premier di Ankara Kurtulmus potrebbe provocare una nuova ondata di almeno un milione di rifugiati.

 

Resta da vedere quali effetti produrrà l’incidente dello scorso 24 novembre. Se è da escludersi un escalation militare, dal lato politico appare evidente che i contrasti tra i due Paesi andranno ulteriormente ampliandosi. Dopo lo scontro, Ankara ha subito cercato il sostegno della NATO, nonostante negli ultimi anni la politica estera turca abbia seguito una linea divergente ed autonoma, come dimostra il caso dell’Egitto dove la Turchia ha fin dall’inizio espresso il suo sostegno al regime dei “Fratelli Musulmani”.

 

Da parte russa, anche se la reazione è stata per il momento estremamente limitata, diversi commentatori ipotizzano comunque che Mosca potrebbe intensificare le azioni nel nord della Turchia contro le popolazioni turcomanne, mentre appare improbabile che la Russia attivi nei confronti di Ankara una sorta di “guerra asimmetrica” sostenendo l’attività del PKK in chiave anti-turca. E’ quindi sul piano economico che le conseguenze saranno più rilevanti. Nonostante le tensioni politiche, lo scorso anno l’interscambio tra i due Paesi aveva raggiunto la cifra rilevante di 31 miliardi di Dollari, dovuto in massima parte grazie alle esportazioni energetiche russe di gas naturale verso Ankara, anche se una voce importante veniva anche dagli appalti ottenuti dalle aziende turche in Russia nel settore delle costruzioni. Ed una conferma in tal senso è venuta dalle sanzioni decise tre giorni fa da Putin tra le quali vi il divieto d’importazione di alcuni prodotti agricoli turchi unitamente alla sospensione dei voli charter verso la Turchia, pure se, va detto, dalla lista, sono rimasti esclusi limoni e noci che costituiscono le voci principali dell’export di Ankara verso la Russia nonché i progetti di cooperazione in campo energetico quali il gasdotto “Turkish Stream”.

 

I rapporti tra Mosca ed Ankara sono quindi entrati in una fase critica, e tutto questo proprio nel momento in cui la comunità internazionale sta cercando di costruire un’alleanza in grado di fronteggiare la minaccia dell’ISIS. E questo non appare sicuramente un buon segnale.