Russia, grazie alla crisi Putin si è sbarazzato degli ultimi oligarchi

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Russia, grazie alla crisi Putin si è sbarazzato degli ultimi oligarchi

01 Giugno 2009

Il 22 agosto del 1991 i generali rinchiusi negli uffici moscoviti del KGB furono costretti ad assistere a uno spettacolo che non avrebbero mai immaginato. La folla che aveva appena salvato Gorbaciov dai golpisti che volevano deporlo si diresse compatta verso la statua del fondatore del KGB, Felix Dzerzhinsky, per abbatterla. Uno dei generali presenti – Alexei Kondaurov, che aveva servito il Paese dal 1972 – commentò: “Mi sento tradito da Gorbaciov, da Eltsin, dall’impotenza dei golpisti”. E guardando i manifestanti che calpestavano i simboli del potere comunista, “Vi prometto che la vostra vittoria avrà vita breve”.

Ci sono voluti quasi vent’anni ma la profezia si è avverata. Oggi l’ex presidente e attuale primo ministro della Russia, Vladimir Putin – un ex agente del KGB –  ha rimesso lo Stato al centro del potere politico ed economico, sconfiggendo uno alla volta tutti gli avversari che lo ostacolavano e restando l’unico arbitro e vincitore della guerra di potere successiva al crollo dell’Unione Sovietica.

Quando l’URSS collassa, all’inizio degli anni Novanta, restano tre gruppi a spartirsi le spoglie dell’impero. “La Famiglia”, i “Siloviki” e gli “Oligarchi”. La Famiglia è il clan di Eltsin, parenti, amici e sodali del curatore fallimentare del comunismo. I siloviki sono invece “gli uomini del potere”, ex KGB, agenti della sicurezza, nazionalisti convinti che la Russia tornerà a risorgere molto presto. Gli oligarchi, infine, sono gli uomini d’affari apparsi sulla scena nell’ultima fase della parabola gorbacioviana, quando si credeva che affidandosi a giovani economisti occidentalizzati, in jeans e personal computer, il sistema potesse essere riformato in maniera graduale.

Le cose vanno diversamente. Nel ’91 l’economia del Paese è allo sbando e sta vivendo una depressione che somiglia a quella che colpì gli Usa e l’Europa Occidentale negli anni Trenta. Il Pil e la produzione industriale sono in flessione costante, l’inflazione sfiora il 65 per cento, le esportazioni sono dimezzate. Senza le entrate del petrolio, la finanza pubblica è allo sfascio. La “Terapia Shock” seguita da Eltsin per rivitalizzare l’economia letargica del comunismo con una scossa di privatizzazioni selvagge produce un capitalismo di rapina che avvantaggia gli oligarchi, capaci di brigare sottobanco per mettere insieme enormi fortune. “Sottobanco” non vuol dire che queste operazioni finanziarie avvengono per forza in modo illegale: la Russia vive un vuoto legislativo che permette di diventare miliardari sfruttando i buchi nei codici sovietici. Uomini d’affari, profittatori e boss mafiosi partono all’arrembaggio.

E’ un Far West in cui nascono agglomerati finanziari che spaziano dal gas al petrolio e perché no agli allevamenti di maiale.  Un’economia improduttiva che succhia ricchezze dallo stato senza creare sviluppo. I controlli del governo sono debolissimi, se non inesistenti, e gli asset industriali e finanziari dell’economia sfuggono di mano allo stato passando nelle mani di privati senza scrupoli che si dotano di milizie personali per farsi la guerra tra loro e difendere interessi di parte.

Interi pezzi dello stato comunista vengono svenduti (il piano dei “voucher” nel ’92-’94, lo schema loans for share degli anni successivi), e gli oligarchi – liberi da ogni controllo fiscale – accumulano straordinarie ricchezze senza avere alcun progetto d’investimento ma per riuscire a fare quanti più soldi possibili nel più breve tempo possibile. Nascono imperi finanziari d’argilla destinati a fallire (e in parte a risorgere) quando le riforme eltsiniane vanno in fumo con la svalutazione del rublo nel 1998. Gli oligarchi non sono stati in grado di proteggere la Russia dalla povertà e neppure di tutelare i propri interessi. Quelli che sopravvivono iniziano a comportarsi come ‘veri’ uomini d’affari, pensando a reinvestire quello che guadagnano e scegliendo degli asset strategici al posto degli irrazionali agglomerati precedenti.

Ma nel frattempo è arrivato Putin. Sono tornati al potere (politico) i siloviki. Alla fine degli anni Novanta, il clan eltsiniano viene infiltrato e alla fine espugnato dalla cosiddetta “Brigata di San Pietroburgo”, la città russa di cui Putin è stato "sindaco" – circondandosi di ex compagni del Kgb, reduci dell’Afghanistan e della Guerra Fredda, giovani tecnocrati pronti ad aprirsi all’Occidente senza perdere di vista gli interessi della Russia (come l’attuale presidente russo Medvedev, che ha guidato a lungo Gazprom e segue Putin dai tempi di San Pietroburgo). Sono stati i siloviki presenti nella "Famiglia" a favorire l’ascesa di Putin, prima a premier e poi a presidente del Paese.

Nel marzo del 2000 Putin chiama a rapporto gli oligarchi sopravvissuti al crollo del rublo. In questa fase i siloviki controllano già il ministero dell’interno e quello degli esteri, l’FSB (il successore del KGB), e le altre strutture delle sicurezza e militari che Eltsin aveva cercato di preservare; oltre, naturalmente, al ministero delle finanze e dell’economia. Il progetto putiniano di riprendere il controllo dello Stato è riuscito ma la Russia è un Paese debole e gli oligarchi ancora troppo forti. Questi ultimi hanno scelto Londra come città d’elezione (“La Mosca sul Tamigi”) e finiscono spesso sui rotocalchi per i loro stile di vita eccessivo e sopra le righe.

Nella prima fase della sua presidenza Putin non li affronta di petto ma gli pone due condizioni. La prima è che bisogna iniziare a pagare le tasse. La seconda è che dovranno restare fuori dalla politica. Chi non si piega, come Mikjail Khodorkovsky, il magnate del gigante petrolifero Yukos, finisce in Siberia, dov’è rimasto da allora. Altri scelgono la via dell’esilio. I loro uomini vengono arrestati o finiscono male, molto male. Nel 2004 Putin dà il via libera definitivo a quella accelerazione del processo di ‘verticalizzazione’ del potere che gli consentirà di dare il benservito ai suoi ultimi avversari. Il “modello Yukos” è un buon esempio di come lo Stato russo si sia riappropriato di quelli che considera “settori strategici” della propria economia. Riconquistare Yukos significa disporre di una compagnia che all’epoca controllava il 2 per cento delle forniture petrolifere globali, in un Paese che il primo produttore al mondo di gas e il secondo di petrolio.

Nascono i “Silovarchi”, i boiardi del Cremlino, che hanno dalla loro parte le strutture della forza (FSB, giudici, esercito). Quando arriverà la tempesta finanziaria del 2008, godranno per primi del (risicato) bailout putiniano. I cremlinologi intervistati da “Stratfor” ritengono che oggi “il 78 per cento del governo russo, del business e delle leadership sociali, sono collegate ai servizi segreti eredi del KGB”.

E gli oligarchi? La grande crisi rischia di spazzarli via. Travolti dai debiti, accusati di essere “anti-patriottici”, dopo i buoni risultati ottenuti negli anni del boom russo, adesso sono costretti ad andare a bussare al Cremlino per essere salvati. Molti di loro sono spariti dalla classifica di “Forbes”, più della metà fra il 2008 e il 2009. Il Cremlino aveva promesso un piano di salvataggio dell’economia che viaggiava sui 100 miliardi di dollari. Poi, dopo averne sganciati una decina, ha congelato il programma per selezionare una per una le compagnie da salvare. Può valere l’esempio di Alexander Abramov, lo scienziato diventato magnate dell’industria russa dell’acciaio: la sua compagnia – Evraz Group – ha perso il 90 per cento del suo valore dall’inizio del 2008. Putin lo ha accusato di affamare il popolo russo. Abramov oggi deve affrontare da solo le fluttuazioni del mercato senza protezioni politiche.

Anche per gli oligarchi che si sono schierati con il Cremlino è solo questione di tempo. Per salvare il suo gioiello, la Rusal, Oleg Deripaska ha messo una parte delle sue fortune nelle mani dello stato, garantendosi un credito privilegiato e dei rapporti molto stretti con Putin. Deripaska ha perso la sua autonomia ma potrebbe diventare il prossimo capo del gigante dell’acciaio che Putin ha intenzione di creare fondendo le diverse compagnie del settore, nella più grande impresa produttrice di alluminio, nickel e acciaio al mondo. Dopo Gazprom e Rosneft, il progetto di economia statale si sta espandendo. Nello stesso tempo il premier continua a fare terra bruciata intorno agli avversari che resistono. L’accordo stipulato tra Russia e Cipro dà al Cremlino la possibilità di accedere alle liste riservate dei cittadini russi che usano Cipro come un paradiso fiscale.

Forse qualcuno degli oligarchi riuscirà a sopravvivere alla crisi senza scendere a patti con Putin. Ma in ogni caso questa classe spregiudicata e molto spesso incurante dell’interesse nazionale è destinata a perdere la sua indipendenza. Se al controllo dell’economia aggiungiamo quello politico (nella Duma, il parlamento russo) e quello sociale (con la repressione del dissenso interno), ci accorgiamo che Putin ha davvero vinto la partita e che la profezia del generale Kondaurov si è realizzata in tempi piuttosto brevi.