Rutelli non vuole rotture di ‘palle’ ma a sinistra Lusi (e non solo) ha già rotto il tabù della morale
18 Marzo 2012
Diciotto anni di parole e sentenze mediatiche. Diciotto anni spesi a identificare in Berlusconi e in chi gli gira attorno il male della politica, l’emblema della corruzione, l’eretico da mettere al rogo. E poi? Poi nel campo della sinistra ‘pura’, quella della superiorità morale certificata a prescindere, spuntano i casi Penati, Lusi, Emiliano, Errani. E allora? Sul piano politico non può bastare Rutelli che va dall’Annunziata a dire di essere vittima di un’ladro’ (il tesoriere di un partito morto ma in realtà vivo fino a giugno) per liquidare la pratica. Tantomeno metterla giù così: “Mo basta…”, “Non mi rompete le palle”.
Qui ci sono in ballo milioni di euro, soldi dei cittadini (si chiama finanziamento pubblico ai partiti) in una vicenda che, al netto delle indagini della procura e delle sentenze dei tribunali che verranno, dice già molto sul piano politico, rompe il famigerato tabù della superiorità morale della sinistra e consegna l’immagine di una classe dirigente che si presenta come il nuovo che avanza ma che, a ben guardare, porta addosso le incrostazioni di un sistema malato. Nessuno escluso, neppure nel centrodestra. Un sistema che la politica in primis deve essere in grado di riformare, pena la stessa sopravvivenza della politica e con essa della democrazia.
Colpisce Rutelli in tv dall’Annunziata, mentre parla di quel tesoriere, che è stato pure magistrato e prima ancora scout, che a dispetto di tutti e in primo luogo suo, d’un colpo si è rivelato “un ladro”, una mente capace di partorire e mettere un pratica “un’operazione criminale” tradendo la fiducia di tutti. Come risvegliarsi da un bel sogno e ritrovarsi in un incubo. Rutelli ostenta sicurezza, gioca in attacco e usa l’autodifesa per distinguere ruoli. Sono giorni che ripete di non aver preso per sé un centesimo di quei 20-22 milioni (la procura sospetta di più) che Lusi da tesoriere ha gestito per anni, di non sapere nulla dell’operato dell’ex compagno di partito col quale ha fatto un bel pezzo di strada politica. Lusi ha rubato, ha tradito, ha preso per sé il denaro pubblico che il leader dell’Api promette verrà restituito ai cittadini e a fini sociali, come l’idea di aprire nella villa a Genzano acquistata da Lusi “una casa famiglia per accogliere i bambini” che potrebbe chiamarsi “Villa Margherita, perché ci occupiamo delle persone che soffrono e non di quelle che rubano”.
Rutelli incalza e, secondo un altro vecchio clichè molto in voga tra i politici, se la prende con la stampa: “Se avessi detto cose false, sarei una persona disonesta, ma ho detto cose vere” e per questo non ha intenzione di dimettersi. “Quanti – aggiunge – dovrebbero dimettersi in un Paese dove tanti giornalisti scrivono fregnacce e poi passa tutto in cavalleria? In un momento di antipolitica questo può funzionare, ma alla fine l’onestà vince e da questa storia dolorosissima ne usciremo a testa alta. E’ una vicenda terribile, Lusi ha approfittato della nostra fiducia piena per rubare. Ci fidavamo perchè era uno scout, si presentava come un uomo austero e severo. Era un magistrato, ma ha preso in giro tutti. Ha fregato tutti noi con condotte di reato complesse e sempre più sofisticate. Ci ha fregato. Siamo furenti perchè la nostra buona fede e’ stata tradita”. E ripete: “Non ho preso fondi, mai. Nemmeno un centesimo. Io i denari li ho dati. Ho fatto politica per 30 anni e ho un patrimonio minore di quando ho iniziato”. Andrà fino in fondo a questa storia, ha già denunciato il suo ex tesoriere il quale “ne risponderà fino in fondo”. Poi spiega di essere “ancora presidente della Margherita per ragioni di continuità amministrativa”, perchè “fino a tre mesi fa sono arrivati i rimborsi elettorali” e lo sarà fino a giugno quando ci sarà lo scioglimento del partito. Ma non si era già sciolto nel Pd?
Colpisce un fatto del Rutelli televisivo: l’atteggiamento stizzito, e a tratti aggressivo (verbalmente s’intende) col quale l’ex leader della Margherita si confronta con l’Annunziata. Come se fare domande (come è dovere di un giornalista e come farebbe qualsiasi persona) fosse già di per sé un atto di lesa maestà. Chiedere lumi, per capire, domandare conto dell’inchiesta pubblicata dall’Espresso, compreso il capitolo sulla Fondazione rutelliana (Cfs) fosse un’eresia, qualcosa che non si deve neppure pensare, figuriamoci dire. Colpisce il ‘mo basta’ e il successivo ‘non rompete le palle’ e ancora ‘ho già querelato l’Espresso, vuole che quereli pure lei?’, pronunciato da un politico che ha sempre fatto vanto della sua pacatezza, del suo bon ton, dello stile moderato a prescindere. Colpisce, e al tempo stesso, rivela la difficoltà (per certi aspetti comprensibile sul piano politico), il suo attaccare per non essere attaccato; il suo scaricare tutto su Lusi, punto. Un po’ come rispolverare il vecchio manuale per il quale a destra ci stanno ladri e corrotti, a sinistra solo compagni che sbagliano e basta espellerli per risolvere tutto.
La vicenda Lusi che, su piani diversi, sta sulle cronache insieme ai casi Emiliano, Penati e ultimo in ordine temporale Errani (il governatore della regione più rossa d’Italia) – al di là di ciò che emergerà dalle singole inchieste e, sia chiaro, il garantismo vale per tutti fino a prova contraria – mette in luce qualcosa che incrina, offusca, lo stereotipo di un centrosinistra politically correct e anche molto radical chic. Non è un caso se due giorni fa, secondo i rumors di Palazzo, Bersani avrebbe detto ai suoi che no, pure la grana di Lusi, lui non può sobbarcarsela. C’è da capirlo.
A tarda sera, dopo lo scontro in diretta con l’Annunziata, Rutelli prova a smussare gli angoli e su facebook scrive: “E’ stata una bella battaglia con l’Annunziata, penso che sia stato utile incavolarsi difendendo le proprie ragioni e questo vale per tutti e due. Il pubblico ora ha certamente le idee più chiare”. Se lo dice lui…