Sacconi difende il governo ma ora pensiamo alla legge elettorale

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Sacconi difende il governo ma ora pensiamo alla legge elettorale

04 Agosto 2010

In un’intervista al Corriere della Sera il ministro per il Welfare Maurizio Sacconi, partendo da un’analisi della politica economica del governo, ha fatto il punto in modo incisivo sulla situazione politica generale determinatasi dopo la rottura tra Fini e Berlusconi. Illustrando come l’Italia sia riuscita a fronteggiare in modo efficace la dura crisi economica in atto, Sacconi ha sottolineato che per raggiungere tali obiettivi è risultata essenziale la stabilità e la continuità dell’azione di governo. Una stabilità che adesso è a rischio.

A suo parere molti hanno remato contro tale prospettiva. "Ci sono ambienti – ha detto Sacconi – che impazziscono all’idea che Berlusconi possa completare i cinque anni". Attaccando a tutto azimut, il ministro ha tracciato un rapido identikit di questa colazione antistabilità: "Finanzieri impiccioni, moralisti con altri e magnanimi con se stessi, che hanno in cagnesco il popolo elettore anche perché il popolo elettore ha in cagnesco loro"; sotto accusa anche "una sinistra ideologizzata, consapevole che nel confronto bipolare non vincerà più". Una situazione che si è riverberata anche sul piano interno del centro-destra quando, a proposito dell’atteggiamento del presidente della camera, ha osservato che "questi ambienti hanno trovato sponda in qualche ambizione interna"

Capiamo perfettamente la foga polemica del ministro, che vede a rischio l’azione governativa, mentre pensava di poter lasciare un segno riformatore lavorando con calma per un quinquennio. Allo stesso modo condividiamo nella sostanza il contenuto delle sue osservazioni. È vero, c’è una componente parassitaria dell’establishment italiano che non vuole la stabilizzazione politica. Ad essa si accoda una sinistra priva di cultura di governo, di leadership e soprattutto, abituata alle manovre di piccolo cabotaggio e non a lavorare sui tempi medio lunghi. Tuttavia come elettore, ancor prima che come commentatore politico, ritengo lecito porsi qualche interrogativo e rivolgere qualche domanda al governo.

Cosa si è fatto in questi due anni e passa anni per mettere la maggioranza al sicuro da possibili lacerazioni del quadro politico, o da manovre centriste? Poco o nulla. Niente riforma dei regolamenti parlamentari, che all’indomani del voto pareva essere ai primi posti dell’agenda politica. Adesso ci viene detto con naturalezza che i finiani possono fare gruppo parlamentare con trenta o trentatré deputati e dieci, dicasi dieci, senatori.

Lo stesso discorso vale sul fronte delle normativa elettorale. L’unica miserrima riforma volta a ridurre la proliferazione partitica è stata l’approvazione di una mediocre soglia di sbarramento per le elezioni europee. Un misero quattro per cento. Sul fronte delle leggi nazionali nulla è stato fatto e nulla si parla di fare (e taciamo, per carità di patria, sulla spinosa questione delle leggi elettorali regionali, che sono un focolaio d’infezione perché aiutano la proliferazione di liste e listarelle demagogiche).

Adesso ci sarà il generale agosto che consentirà di tirare un po’ il fiato, ma la prospettiva delle elezioni anticipate non appare lontana. Se tale prospettiva dovesse concretizzarsi, occorre chiedere con forza alcune priorità nel programma di governo. Anzitutto che si vari una riforma dei regolamenti parlamentari che non consenta la formazione di gruppi con meno di sessanta eletti alla Camera e trenta al Senato. In secondo luogo, una legge elettorale sanamente selettiva che assicuri di fatto una soglia di accesso in Parlamento solo con il 10 o il 12%.

Infine, il Pdl prima del voto deve presentare una squadra di governo autorevole e andare alle elezioni da solo, senza apparentamenti con nessuno. Solo una drastica semplificazione del quadro politico potrà evitarci il ritorno alla barbarie centrista.