Sacconi: ora la cassaintegrazione copre tutti i lavoratori
27 Maggio 2009
«La copertura della cassa integrazione è generalizzata e non mancano le risorse. Così sono stati evitati i licenziamenti di massa, avvenuti invece in altri Paesi. Le imprese oggi possono mantenere le persone in azienda» . Il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi raccoglie le sollecitazioni, analizza i dati dell’Istat, ma rivendica anche con forza quanto fatto dal governo. Dopo, però, aver espresso «la commozione all’immenso dolore dei familiari e dei colleghi delle tre vittime del lavoro decedute in Sardegna» . Per le quali «adesso sono doverosi i più attenti e scrupolosi accertamenti sulle responsabilità: andranno verificati i dispositivi di protezione e il rispetto degli adempimenti degli organi di vigilanza» .
L’Istat ha fornito ieri uno spaccato preoccupante della crisi, in particolare per quanto riguarda i capifamiglia con lavori a termine, che paiono i più colpiti dalla recessione. Come li si protegge?
L’Istat di fatto conferma che le persone più vulnerabili sono i capifamiglia, tanto più se ultracinquantenni. Lavoratori che, se estromessi dal mercato del lavoro, rischiano di non rientrarvi più. Ma proprio perciò abbiamo attivato un sistema di diffusa protezione del reddito, unito però alla conservazione del posto. Non sussidi di disoccupazione generalizzati, ma ammortizzatori sociali come la cassa integrazione che intervengono dove c’è sospensione dell’attività, non licenziamento.
I nostri ammortizzatori sociali sono però tradizionalmente limitati e selettivi…
Non più. Con i provvedimenti anticrisi abbiamo esteso la cassa in- tegrazione e gli altri sussidi a tutti i lavoratori subordinati, di qualunque tipologia sia il loro contratto, in qualsiasi settore merceologico operi l’azienda e a prescindere dalla sua classe dimensionale.
Si può dire che tutti i lavoratori dipendenti possono essere tutelati dalla cassa integrazione, anche l’apprendista di un artigiano, anche il contrattista a termine di un negozio?
Ripeto: tutti sono coperti. Questo è anche il senso della moratoria che abbiamo proposto alle imprese: non chiediamo loro un gesto ‘folle’, senza offrire strumenti alternativi al licenziamento. Diciamo agli imprenditori: voi vi impegnate a non estromettere nessuno dalle aziende e lo Stato mette a disposizione la cassa integrazione, dove si può anche la formazione per ‘ impegnare’ in maniera utile il periodo di sospensione. Così l’azienda mantiene all’interno personale con competenze e sarà più forte quando partirà la ripresa.
C’è però un problema di durata della cassa integrazione: sindacati e imprese chiedono di allungarla da 12 a 24 mesi. E le risorse non rischiano di mancare?
Non è così. Abbiamo già ridisegnato i conteggi per giorni utilizzati e non per settimane. Ma anche quando si arrivasse a consumarne per un anno intero, abbiamo già predisposto la possibilità di utilizzare un ulteriore anno di cassa integrazione straordinaria come ordinaria. E questo senza causali particolari. Le risorse finora utilizzate, poi, sono una piccola parte di quelle a disposizione.
Ancora, i lavoratori in cassa integrazione ricevono fino a un massimo di 858 o 1.031 euro lordi a seconda del livello di stipendio al momento della sospensione. Per le famiglie di operai significa trovarsi con poco più di 700 euro netti e così non ce la fanno a tirare avanti.
Capisco che se una famiglia normalmente può contare su 1.400 o 2.000 euro di stipendio, 700 o 900 euro di cassaintegrazione non siano la stessa cosa. Ma questi livelli di sussidio – di norma intorno all’ 80% del salario – sono tra i più alti e soprattutto tra i più ‘lunghi’ come durata di quelli di tutti i Paesi industrializzati.
La crisi colpisce anche e soprattutto i collaboratori: almeno un milione di persone che rischiano di trovarsi a zero entrate…
Per i lavoratori a progetto con un solo committente questo governo – e non altri, nessun altro – ha previsto un sussidio straordinario del 20% del reddito conseguito lo scorso anno. E questo nonostante il collaboratore debba essere considerato comunque non un subordinato ma un indipendente come gli autonomi.
C’è una fascia di popolazione, già disagiata, oggi a rischio miseria, più che povertà. Perché non introdurre un reddito minimo garantito?
Situazioni particolari di difficoltà certo ci sono. Ma io mi opporrò sempre all’idea di un reddito minimo garantito a prescindere dall’inserimento in un percorso formativo o di lavoro, di sussidi non collegati a un’attività lavorativa svolta in precedenza. Così si finisce solo per intrappolare persone deboli nel lavoro sommerso o nell’inattività senza sbocchi. Invece tutti i sussidi devono rispondere o a criteri assicurativi ( ho lavorato, versato contributi e dunque ho una prestazione) o basarsi su un’attivazione alla ricerca di un impiego. E ai giovani dico: in questa fase accettate qualsiasi lavoro, anche non corrispondente al vostro titolo di studio.
C’è però uno ‘ zoccolo duro’ di povertà da affrontare…
Certo: ci sono anziani in difficoltà, madri sole, persone che non possono lavorare, magari con figli piccoli. Abbiamo iniziato una lotta alla povertà costruendo con la social card una prima anagrafe dei bisogni e un primo canale d’intervento. Lo rafforzeremo. Così come dovremo fare di più per le famiglie, reintroducendo le deduzioni fiscali che il governo precedente ha cancellato penalizzando i nuclei. In generale sono sensibile all’appello della Chiesa e dei vescovi, doveroso da parte di un’autorità morale, sulla difesa dei più deboli e dei lavoratori. È bene però riconoscere che le imprese stanno evitando i licenziamenti, nonostante la crisi, proprio grazie alle tutele che abbiamo messo in campo e che credo possano scongiurare un’ulteriore perdita di occupati».
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