Sakineh sarà impiccata. Frattini: “Fermare la mano del boia”

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Sakineh sarà impiccata. Frattini: “Fermare la mano del boia”

29 Settembre 2010

"Ogni esecuzione è un crimine osceno contro l’umanita", ma le storie vengono trattate in modo diverso dall’opinione pubblica e l’atteggiamento che questa prende dipende dai media. È la lettura del caso di Sakineh, la donna iraniana condannata a morte per impiccagione per l’omicidio del marito, per la quale è stata messa in piedi una mobilitazione internazionale, rispetto a quello dell’americana Teresa Lewis, giustiziata negli Stati Uniti, secondo il neosegretario di Amnesty International, Saly Shetty, intervistato da La Stampa.

"Il caso iraniano ha fatto più clamore perché è complesso, introduce una lunga serie di violazioni – precisa Shetty – e tutto ciò accade in un Paese al centro di numerose controversie. E aggiunge un’offesa ai diritti che si inserisce in un contesto di grave contrapposizione politica, militare e religiosa". Oltre a questi fattori, secondo Shetty, è da considerare anche il fatto che per il caso di Sakineh, "il mondo islamico si è sentito messo sotto pressione". Secondo Mario Marazziti, della Comunità di Sant’Egidio, intervistato sempre da La Stampa, "le pressioni dell’opinione pubblica non bastano". Per disarmare il boia occorre impegnare "i canali diplomatici e collaborare con le classi dirigenti dei Paesi non abolizionisti".

Mentre per Matteo Mecacci, deputato radicale e membro del direttivo di Nessuno tocchi Caino, è necessario "rafforzare la risoluzione del 2007 dell’Onu sulla moratoria". "Concentrarsi sui casi singoli va bene – dice a La Stampa – ma è bene portare la sfida ad un livello istituzionale e politico". La lapidazione "è stata la molla che ha mosso tutto", secondo Arianna Ballotta presidente della Coalizione Italiana contro la pena di morte, che suggerisce dalle pagine del quotidiano di Torino di sensibilizzare l’opinione pubblica su tutte le forme di condanna a morte.

"Fermare la mano del boia". È questo che il ministro degli Esteri Franco Frattini chiede all’Iran, dopo il "grandissimo risultato" raggiunto di evitare "l’orrore della lapidazione" per Sakineh ora serve un passo in più: bloccare "la tragedia dell’esecuzione". Intervenendo a Uno Mattina, il titolare della Farnesina ha chiesto a Teheran "un gesto di clemenza e di dialogo verso la comunità internazionale", ricordando che quella per salvare Sakineh è "una battaglia per tutte le donne e gli uomini che rischiano di essere uccisi" e ribadendo che il governo italiano è "contro l’esecuzione di ogni condanna a morte", ovunque essa sia.

Sakineh Ashtiani non verrà lapidata, ma impiccata. L’adultera iraniana di 43 anni, rinchiusa in carcere a Tabriz, sarà uccisa in seguito alla condanna per complicità nell’omicidio del marito. Queste le parole del procuratore generale di Teheran che ne fa una questione di "priorità" giudiziaria,  più che di mera punizione per l’adulterio commesso. Ma dopo poche ore dalle dichiarazioni di Mohsen Ejaei sulle pagine del Teheran Times, dal ministero degli Esteri di Teheran il portavoce  Ramin Mehmanparast dà notizia che il verdetto contro Sakineh Ashtiani non è ancora stato raggiunto, e che ci vorranno due settimane prima di sapere se la donna verrà uccisa o meno. Un mistero sulla sorte dell’iraniana, che sembra di difficile soluzione. Almeno per ora. Il caso giuridico è complicato.

Sakineh Ashtiani attualmente è in prigione sulla scia di due differenti processi; uno per complicità nell’omicidio del marito (assieme al cugino della vittima), l’altro per adulterio. Secondo il procuratore generale, Sakineh è stata condannata a morte per entrambi. Ma prevarrebbe l’omicidio sull’adulterio, e quindi il boia utilizzerebbe la forca piuttosto che le pietre. Ma, per la Diplomazia di Teheran nulla è ancora stato deciso e il verdetto sarà reso pubblico solo tra un paio di settimane.