Salari, è ora che il governo decida chi favorire
14 Gennaio 2008
Gli incontri tra Governo e sindacati su salario e fisco sono appena iniziati, ma già sono venute in evidenza tutte le difficoltà che si porranno sul cammino di un accordo. Il Governo ha delineato il percorso che intende seguire (destinare il “tesoretto” del 2008 ai benefici fiscali sulle retribuzioni), mentre i sindacati non si sbilanciano nel timore di essere nuovamente scavalcati (come è avvenuto in occasione del protocollo del 23 luglio 2007) dalle posizioni delle formazioni neo comuniste. Così, Cgil, Cisl e Uil hanno atteso gli esiti del vertice di maggioranza prima di riprendere il confronto.
Intanto, hanno smesso di agitare la clava dello sciopero generale come avevano fatto con una buona dose di finzione, dal momento che le confederazioni non si sarebbero mai assunte, in proprio, la responsabilità di provocare la caduta del “Governo amico”. Certo, le cose non sono ancora chiare.
L’Economia è prudente e non vuole impiccarsi alle cifre di un “tesoretto” che è tuttora d’acquisire ma le cui presumibili dimensioni sono ritenute insufficienti da parte delle confederazioni (tanto più, dopo che la Confindustria stessa si è prenotata per spartire i benefici). Luca di Montezemolo non ha esitato – con la sua intervista al Sole 24 Ore – a mettere, come si suol dire, i piedi nel piatto, rivendicando un nuovo taglio del cuneo fiscale ma destinando stavolta una quota maggiore ai lavoratori. La sortita di LCdM ha spaziato in molti campi. Come sempre le sue denunce dei mali dell’azienda Italia sono state precise e circostanziate, tanto da richiamare l’attenzione sull’estrema prudenza, di cui si è avvalso il presidente, quando si è trattato di indicare una soluzione concreta per come usare sia il fisco che i contratti allo scopo di migliorare i redditi dei lavoratori. premiare
Eppure è ora di prendere una decisione su quali parti di retribuzione dovranno beneficiare degli sconti fiscali. Se sarà il salario negoziato in azienda in cambio di una maggiore produttività, verrà di fatto potenziato il livello di contrattazione decentrata. E’ questa una via obbligata per riconoscere ai lavoratori retribuzioni più elevate, almeno nei settori in cui gli standard di produttività sono più elevati, mentre col sistema attuale sono più tutelati i comparti meno produttivi e dinamici (a partire dalla pubblica amministrazione). Se, al contrario, i benefici andranno a favore dei miglioramenti previsti dai contratti nazionali, il sistema continuerà “a rammendare le solite vecchie calze”.
Insomma, non siamo mai stati tanto vicini ad una svolta nel campo delle relazioni industriali. Per darvi corso non ci sarebbe bisogno di complicati negoziati di ingegneria contrattuale: sarebbe sufficiente determinare un regime fiscale per cui il salario variabile pagherà imposte più basse e peserà maggiormente in busta paga. Ciò indurrebbe datori e lavoratori a dedicare maggiori risorse alla contrattazione decentrata.
Certo, per rendere virtuosa l’operazione, al di là delle considerazioni di contesto sulle disponibilità effettive, il Governo dovrebbe partire col piede giusto, evitando di compiere l’errore strategico commesso nella Finanziaria 2007, quando le risorse utilizzate per il taglio del cuneo fiscale furono riconosciute alle parti sociali senza chiedere loro alcuna contropartita.
In sostanza, il Governo dovrebbe individuare e mettere sul tavolo del negoziato le proprie disponibilità, indicando i criteri generali per la loro allocazione; l’erogazione dovrebbe, però, essere subordinata al raggiungimento (entro un tempo definito) di un’intesa tra associazioni sindacali e datoriali sulla struttura della contrattazione.
I sindacati hanno ragione quando affrontano la questione del potere d’acquisto dei lavoratori sul versante della fiscalità (soprattutto quando il governo ha aumentato sia le tasse che i contributi sociali), ma non possono riscuotere dall’esecutivo (e quindi da noi tutti) quegli aumenti salariali che non sono più in grado di negoziare con il “padronato”, perché le regole negoziali sono saltate e non sono state ancora sostituite da altre, accettate e condivise. Riformare la struttura della contrattazione è un passaggio indispensabile. La direzione di marcia di tale riforma sarà strettamente correlata alla scelta strategica di quali quote di salario dovranno usufruire dei benefici fiscali.
Ciò nonostante, LCdM ha lasciato cadere l’assist della Cisl, la sola organizzazione che si è pronunciata per la detassazione del salario variabile. Persino Walter Veltroni, quando presentò la piattaforma sul lavoro in vista del Convegno del PD sulla condizione dei lavoratori, si spese molto sul terreno delle agevolazioni a favore della retribuzione legata alla produttività. Ma LCdM è coerente: vuole andarsene da viale dell’Astronomia ribadendo la medesima linea di condotta che ha costituito il suon solo disegno programmatico: andare d’accordo a qualunque costo con la Cgil. Certo, che con un padronato siffatto è difficile per un sindacato essere riformista.