Sale la tensione in Cina: 140 morti negli scontri dello Xinjiang
06 Luglio 2009
Non si è ancora fatta luce sul massacro avvenuto in Cina. Di certo c’è solo che nelle violenze di ieri a Urumqi, nella regione cinese del Xinjiang, circa 140 persone hanno perso la vita e più di 800 sono rimaste ferite. Diverse centinaia anche gli arresti effettuati.
Le poche informazione rese note dalla stampa locale sono quelle dei dirigenti del partito comunista cinese, che non escludono l’ulteriore crescita del numero delle vittime. Fonti ufficiali riportano infatti come gli incidenti di ieri tra migliaia di uighuri (la minoranza musulmana residente nella regione) e la polizia siano frutto di un "complotto gestito dall’estero", ovvero dagli esuli uighuri stessi.
Ma secondo la versione data dalla Uaa (l’Associazione Americana Uighuri) gli incidenti sarebbero stati innescati durante una manifestazione di protesta svoltasi nel pomeriggio di ieri. Il corteo ricordava la morte di due membri dell’etnia Uighuri avvenuta il 26 giugno in una fabbrica di giocattoli a Canton, dopo che i due erano stati accusati di aver violentato una giovane. Per la Uaa, fondata dalla dissidente in esilio Rebiya Kadeer, gli agenti di polizia intervenuti hanno sparato contro gli uighuri che stavano sfilando "pacificamente". Alcuni residenti di Urumqi affermano che la situazione attualmente è calma, anche se lamentano la presenza massiccia di forze di Polizia, dichiarando addirittura che la città si trova sotto una "legge marziale di fatto".
Il Governo non ha ancora preso una posizione ufficiale soprattutto riguardo l’etnia delle vittime, ma le notizie diffuse dalle autorità locali e dalla stampa (tutta controllata da Pechino), stimano la maggior parte dei feriti come civili cinesi attaccati dai dimostranti uighuri durante la protesta.
Il capo della polizia regionale, Liu Yaohua, ha affermato che le forze di sicurezza hanno "rafforzato la vigilanza nel centro di Urumqi e in alcuni luoghi chiave come le centrali energetiche e le stazioni della televisione", senza però spiegare la dinamica degli scontri. La polizia dichiara inoltre di aver arrestato dieci "persone-chiave" che avrebbero "incitato" alla ribellione la popolazione di Urumqi.
Per l’agenzia di stampa "Nuova Cina" altre 90 "persone chiave" sono ricercate, aggiungendo che durante i disordini sarebbero state danneggiate 14 case private, 203 negozi e ben 261 veicoli dati alle fiamme. A infittire il mistero si aggiunge il fatto che nelle foto e nei filmati comparsi su internet a partire dalla notte scorsa, quando si è diffusa la notizia degli incidenti, si vedono civili sanguinanti e feriti ma nulla che lasci intuire le reali dimensioni della violenza né tantomeno l’etnia dei feriti.
Una ulteriore chiave di lettura può essere data ricordando la distruzione del vecchio bazar di Kashgar, la capitale della cultura uighura. La demolizione è entrata nella sua fase operativa alla fine di marzo ed è oggi uno dei principali motivi di protesta. Le 100mila famiglie che vivevano nel bazar, uno strettissimo dedalo di vicoli e vecchie costruzioni tradizionali, sono state trasferite nelle nuove zone situate alla periferia della città. La decisione definitiva di procedere alla distruzione – rimandata più volte – è stata presa l’anno scorso dopo il terremoto del Sichuan ed è stata definita "un affronto alla cultura uighura ed un tentativo di assimilazione degli uighuri" dalla dissidente Rebiya Kadeer.
Questi ultimi episodi non sono comunque isolati nella storia degli Uighuri. Una serie di gravi attentati furono attribuiti ai secessionisti anche nell’agosto del 2008. In tre attacchi – il 4, il 10 ed il 12 agosto 2008 – trenta persone rimasero uccise in diverse zone della regione. L’episodio più importante e grave fu quello del 4, a ridosso dell’apertura dell’Olimpiade di Pechino. Un attentato contro un commissariato di polizia a Kashgar causò la morte di 17 agenti. Due uighuri vennero condannati a morte per l’assalto. Interessante il dato secondo cui nei primi 11 mesi del 2008 sarebbero state arrestate circa 1.300 persone per reati "relativi alla sicurezza". Si tratta di una cifra altissima se si considera che nell’intero 2007 e considerando tutta la Cina, le persone arrestate perché sospettate di attività pericolose per la sicurezza sono state 742.
Tornando di qualche anno indietro nel tempo si coglie ancora meglio lo spirito separatista degli Uighuri. Il Turkestan Orientale, oggi Regione Autonoma del Xinjiang all’interno della Repubblica Popolare Cinese, è stata in passato uno snodo fondamentale della Via della Seta. Si tratta di una regione che nel corso della storia è stata annessa dalle dinastie che regnavano in Cina o in Asia Centrale, e per certi periodi è stata indipendente. Negli ultimi anni della guerra civile cinese (1927-1950) tra i comunisti di Mao Zedong ed i nazionalisti di Chiang Kai-Shek, i leader di tre gruppi etnici musulmani fondarono la Repubblica del Turkestan con centro a Kashgar. Sopraffatta dall’Esercito di Liberazione Popolare, la regione tornò a far parte della Cina dal 1949. A oggi sono Uighuri il 44% dei 20 milioni di abitanti dello Xingjiang, una regione desertica grande cinque volte l’Italia e ricca di petrolio.
Il problema dell’indipendenza, anche ad altre latitudini, è sempre stato fondamentale nella vita di una regione, soprattutto se fortemente caratterizzata dal punto di vista religioso. Resta da capire come una protesta non pacifica e centinaia di morti possano aiutare questo processo.