Saltano i nervi nel Pd e c’è già chi si pregusta lo scontro tra Max e Walter
27 Novembre 2008
L’ultimo segretario dei Ds, Piero Fassino, definisce “una caricatura degli Orazi e Curiazi” lo scontro interno al Pd. O almeno la rappresentazione che ne danno i giornali, a suo dire sbagliando e “facendo credere che il dibattito nel Pd si esaurisca nelle posizioni riferibili a due personalità”, ossia a Veltroni e D’Alema. E sicuramente Fassino ha ragione a dire che lo scontro non si esaurisce lì, perché di contraddizioni ancora aperte dentro il principale partito di opposizione ce ne sono molte altre. Un parlamentare toscano di lungo corso come Rolando Nannicini, vicino alle posizioni dalemiane, sottolinea ad esempio che “il vero problema non è l’incompatibilità tra Massimo e Walter, ma la convivenza tra Ds e Margherita, che alla lunga può rivelarsi più difficile del previsto”. In periferia, raccontano in molti, lo scontro di potere tra le due anime, ognuna delle quali tende a conservare le proprie rendite, è all’ordine del giorno. Su tutte le materie cosiddette “etiche”, il Pd è afasico e paralizzato dall’incomponibilità tra laici e cattolici. Sulla collocazione internazionale, i post diessini non vogliono rinunciare al legame col Pse, ma per i post democristiani l’idea di finire nelle file socialiste in Europa è inaccettabile. “Quella rischia di essere la mina su cui salta l’intero progetto del Pd”, avverte il rutelliano Renzo Lusetti.
Ma al momento sono D’Alema e Veltroni i poli della tenzone che attraversa il partito democratico, checché ne dica Fassino. Il quale, a sentire i maligni, cerca di ritagliarsi un ruolo equidistante tra i due perché è più interessato ad ottenere (grazie al Pse e all’appoggio veltroniano) un ruolo di rilievo europeo che a fare il sindaco di Torino, come invece gli propone D’Alema, a sua volta allettato da un incarico internazionale a Bruxelles. Uno che conosce i due duellanti fin da piccoli, l’ex Ds Antonello Falomi, ironizza: “E’ da sempre così: quando Walter si butta a sinistra, Massimo si butta a destra.
Quando uno vuol dialogare con Berlusconi, l’altro lo demonizza. E viceversa. "C’è un nodo psicanalitico", sospira il veltroniano ex dalemiano Giovanni Lolli, una rivalità caratteriale prima ancora che politica, ed è quella che dentro il Pd, dal vertice alla base, sta suscitando una reazione di rigetto pericolosa. Il caso Villari è stato il detonatore che ha fatto esplodere lo scontro tra “sabotatori” e “complottisti” (accuse dei veltroniani ai dalemiani) e “stalinisti” e “pasticcioni” (accuse dei dalemiani ai veltroniani). Il segretario del Pd sembra stavolta aver deciso di affrontarla in campo aperto, riportandola sul terreno politico: almeno così sperano quelli che, tra i suoi supporter, insistono da tempo per un congresso anticipato. La prima tappa della sfida sarà la direzione del 19 dicembre: nella sua relazione, sulla quale chiederà il voto, Veltroni promette di affrontare con chiarezza tutti i nodi della querelle. Con l’obiettivo di spingere il dissenso dalemiano ad emergere e ad andare in minoranza. La loro idea di partito è diversa: Veltroni pensa ad un Pd più “liquido” e all’americana, che punta sul voto di opinione, con un rapporto diretto tra leader e elettori che scavalca l’apparato. D’Alema pensa ad un partito classico, strutturato e organizzato, con molti gradini intermedi tra la base e il vertice. L’idea di sistema politico è diversa: Veltroni pensa ad uno scenario sostanzialmente bipartitico tra progressisti e conservatori, e si dice convinto che la vittoria di Obama in America possa aprire un nuovo ciclo anche in Italia per chi si sa mettere nel solco dei democratici americani, nella speranza che il carisma di Berlusconi si logori nel fronteggiare la crisi economica dal governo, e che la prossima volta il vento giri dalla parte del Pd.
D’Alema è convinto che la società italiana sia fondamentalmente di centrodestra, e che l’unica strada per riportare al governo la sinistra sia quella delle alleanze parlamentari con il centro: per questo sostiene un sistema elettorale tedesco a base proporzionale, che ridia fiato ai centristi, e spinge per una caratterizzazione più “socialdemocratica” del Pd. Anche a costo, sostiene qualcuno, di arrivare ad una separazione consensuale con la ex Margherita, che vada a riunirsi con l’Udc di Casini e possa fare da polo d’attrazione per eventuali moderati in fuga dal Pdl. Sulla collocazione internazionale le idee sono diverse: Veltroni pensa che un legame con i democratici Usa sia molto più proficuo in questa fase di quello con il vecchio Pse; vuol rinviare la scelta il più possibile, e i suoi non escludono affatto che si possa arrivare, in fase transitoria, ad una collocazione autonoma del Pd in Europa.
D’Alema invece la pensa come Fassino, che il mese prossimo firmerà (ma a nome dei Ds, non del Pd…) il documento elettorale del Pse per le prossime europee: senza un legame organico con i socialisti, “che grado di influenza potrebbe avere il Pd a Strasburgo?”. Sottinteso: nessuno. C’è la questione delle alleanza, con i dalemiani sempre più allergici alla “subalternità” – parola di Latorre – all’infido Di Pietro. Per finire, c’è la legge per le elezioni europee: Veltroni, dicono dal Pd, vorrebbe riaprire in extremis la trattativa col Pdl per riformarla, innalzando il quorum e riducendo le preferenze. Una rete di protezione per il risultato del suo partito. D’Alema è fortemente contrario. Se il confronto e il voto in direzione saranno davvero su questi punti, se ne vedranno delle belle.