Salvate dalla campana (e dai talebani): l’educazione femminile in Afghanistan
27 Febbraio 2010
Leila Mohammad Akbar dirige da più di quattro anni l’istituto di scuola superiore femminile di Zuleikha nel distretto di Khair Khana, a nord di Kabul. Un ruolo difficile visto che in Afghanistan per i talebani le ragazze devono essere ritirate dalle scuole a costo di punire severamente, secondo la legge coranica, chiunque viola questa disposizione. Leila non si spaventa di fronte alla minaccia dei seguaci del mullah Omar e garantisce istruzione a quasi 5000 studentesse (e per qualche maschietto, se ha tra i 6-9 anni). Ospite dell’Associazione di amicizia franco-afghana (AFRANE) è stata dieci giorni in Francia dove ha testimoniato la difficile situazione che sfida quotidianamente nella sua lotta all’analfabetismo.
Leila è chiara: il problema principale è la sicurezza. Lo fa ben capire quando racconta una sua giornata tipo che inizia alle sei del mattino per controllare che nelle classi non siano state nascoste bombe e soprattutto che l’acqua delle fontane sia potabile (“I talebani l’hanno già avvelenata molte volte”, dichiara al web magazine Rue89). Poi, c’è l’entrata e bisogna perquisire gli studenti, anche i bambini di sei anni: “Qualcuno potrebbe dargli qualcosa prima di entrare nell’istituto”. Una volta in classe, i problemi non mancano ma sono i banchi rotti, le aule piccole, la mancanza di materiale scolastico… cose che in un paese in guerra sono tollerate. I guai, quelli che uccidono, continuano quando suona la campana e bisogna tornare a casa. All’uscita, infatti, è sempre presente una pattuglia di vigilantes per impedire che le studentesse vengano sfregiate con il lancio di acido. Un’usanza troppo comune in Afghanistan (come in Pakistan, Bangladesh, India). Trovare dell’acido è facile basta quello della batteria di un’automobile e trovare un bel volto da sfigurare, in queste zone, è ancora più facile.
Secondo l’associazione Smileagain, impegnata da anni nel ricostruire un volto e una vita alle vittime della machocrazia, non è nemmeno possibile ipotizzare il numero delle persone colpite. La maggioranza delle donne sfregiate vive nelle zone rurali, dove nessuno denuncia queste tragedie e dove le violenze restano nascoste tra le ombre più scure, custodite da clan e tribù. Una vendetta atroce, una violenza terribile che toglie la speranza, ruba la bellezza: dalla pelle fino all’osso, squagliando i tessuti. La bellezza,evidentemente, fa tanta paura ai talebani.
“Comunque la situazione è migliorata con l’arrivo degli americani nel 2001”, rassicura Leila. Ora infatti può almeno svolgere apertamente la sua attività di insegnamento rispetto a quando doveva farlo di nascosto, perché “le donne non potevano uscire di casa, salvo che, accompagnate da un uomo della loro famiglia”. Ora, le donne hanno una scuola tutta loro e un insegnante che porta avanti la lotta contro l’ignoranza e la violenza, sparsa dagli Studenti di Dio. La realtà di Leila Akbar insieme a quella di Azra Jafari (la prima e unica donna sindaco dell’Afghanistan che accettò un lavoro come docente, nonostante una fatwa del mullah Omar ordinasse di uccidere le donne insegnanti) o a quella di Shakila Hashimi (una delle 63donne parlamentari dell’Assemblea nazionale afghana, orfana di una figlia che è stata uccisa perché scambiata per la madre, tuttora minacciata per essere una donna che fa politica) sarà una delle pietre angolari su cui si sta costruendo il nuovo Afghanistan.