Salviamo i cristiani dal martirio e dall’indifferenza
03 Luglio 2007
Padre Giancarlo Bossi è stato rapito il 10 giugno nelle Filippine. Tuttora di lui non si hanno notizie. Si sa solo che è stato rapito perché cristiano, e perché prestava aiuto ai diseredati in quel lontano paese del sud est asiatico. Padre Ragheed Ganni è stato ucciso un mese fa in Iraq, subito dopo aver celebrato la messa. La morte del sacerdote cattolico caldeo, insieme a quella dei tre diaconi che erano con lui, sul bollettino quotidiano delle vittime della guerra irachena verrà annoverata come una morte “ordinaria”. Ma tutti sanno che non è così. La morte di padre Gianni, di Basman Yousef Daud, di Wahid Hanna Isho e di Gassan Isam Bidawed, così come il rapimento del missionario italiano nelle Filippine, simbolicamente rappresentano la morte, la sopraffazione, il sacrificio, il martirio di migliaia di cristiani che giorno dopo giorno in nome delle loro fede vengono perseguitati e uccisi nel mondo. E non solo nelle zone di guerra, quelle apparentemente dimenticate da Dio ma non dagli uomini, né nelle zone più a rischio, quelle dove i regimi islamici perseguitano le minoranze religiose in nome dell’opposizione politica, come il Sudan o la Nigeria o la Somalia. Non occorre fare uno sforzo di memoria per ricordare il martirio dei cristiani della casa editrice che stampa testi biblici nella civile e pacifica Turchia o per rammentarsi delle uccisioni e delle persecuzioni dei cristiani ortodossi in Kosovo appena un anno fa.
Domani – non senza una singolare corrispondenza di ricorrenze: il 4 luglio, infatti, non è solo la Festa dell’indipendenza americana, che celebra la liberazione dall’oppressione e dalla persecuzione, ma secondo un’interpretazione cara ai neocon, è anche la commemorazione di quella libertà per volontà e nel nome di Dio – nel nostro paese verrà celebrata la giornata per la tutela della libertà religiosa e per i cristiani perseguitati. L’idea, lanciata da Magdi Allam dalle colonne del Corriere, è stata accolta e promossa da molti laici, credenti e non credenti, cristiani e non cristiani con l’intenzione di portare in piazza tutti coloro che, appartenenti alla società civile e non, vogliono manifestare “contro l’esodo e la persecuzione dei cristiani in Medio Oriente e per la libertà religiosa”. Nelle intenzioni degli organizzatori vi è quella di promuovere la costituzione di un Osservatorio come punto di partenza per tutelare la presenza dei cristiani nei paesi più a rischio: il Medio Oriente ma anche l’Africa e alcuni paesi dell’Asia.
La manifestazione serve ad affermare in generale il diritto universale alla libertà religiosa, denunciando però al tempo stesso che questo diritto viene violato principalmente nei confronti dei cristiani perseguitati e discriminati, costretti a fuggire e a vivere in clandestinità in molte zone del pianeta. “Non possiamo più continuare ad assistere inermi alle barbarie che stanno costringendo milioni di cristiani negli Stati arabi, musulmani e altrove a fuggire dalle loro case e dai loro paesi” – scrivono i promotori di “Salviamo i cristiani” – e “denunciamo le violenze contro i religiosi e i fedeli cristiani che pagano con la vita l’impegno e la fedeltà a testimoniare la propria fede”. La presenza dei cristiani nel mondo si va assottigliando sempre più: “dalla prima guerra mondiale circa 10 milioni di cristiani sono stati costretti a emigrare dal Medio Oriente. Una fuga simile solo alla cacciata degli ebrei sefarditi che, da un milione prima della nascita dello Stato di Israele, si sono ridotti a 5 mila. Invitiamo pertanto tutti gli uomini di buona volontà, al di là della loro fede, etnia e cultura. Sarà una grande manifestazione per la vita, la dignità e la libertà dei cristiani e per il riscatto dell’insieme della nostra civiltà umana”.
A quella manifestazione saranno presenti anche i politici: quasi tutti i parlamentari del centrodestra e qualche sparuta rappresentanza del centrosinistra, per lo più di fede mastelliana. Almeno a giudicare dalle prime sottoscrizioni. Ma gli organizzatori ci tengono a tenere anche questa volta la politica lontano dal palco. A parlare saranno solo gli esponenti della “società civile”: Souad Sbai, Riccardo Pacifici, Jesus Carrascosa di Cl, padre Bernardo Cervellera e Attilio Tamburrini, di Aiuto alla Chiesa che soffre, associazione che da quasi dieci anni si preoccupa ogni anno di stilare un rapporto sulla condizione della libertà religiosa nel mondo. Rapporto che, per ironia della sorte (se così si può chiamare), proprio quest’anno non uscirà.
Di cosa si tratta lo si capisce sfogliando le prime pagine del rapporto: uno studio dettagliato e analitico della condizione in cui versano i cattolici in tutto il mondo – continente per continente e paese per paese – e delle legislazioni che garantiscono, o reprimono, la libera manifestazione del proprio credo. L’avvio a questa iniziativa – che inevitabilmente fa da sfondo alla manifestazione di domani – lo diedero le parole di Giovanni Paolo II, che quasi vent’anni fa scriveva: “Fra le libertà fondamentali che spetta alla Chiesa difendere al primo posto si trova, in modo del tutto naturale, la libertà religiosa. Il diritto alla libertà di religione è così strettamente legato agli altri diritti fondamentali, che si può sostenere a giusto titolo che il rispetto della libertà religiosa sia come un “test” per l’osservanza degli altri diritti fondamentali”.
Il perché il rapporto non uscirà è il più vecchio dei motivi: “Non siamo riusciti a reperire i fondi necessari” ci dice proprio Tamburrini, che, con una punta di rassegnazione, continua: “E’ evidente: non siamo Amnesty”. Un vero peccato, proprio in vista della costituzione di un Osservatorio sulla libertà religiosa. “In un primo tempo si è pensato di allargare il giro delle contribuzioni alle altre sedi di Acs nel mondo, che sono in tutto 17. Poi però in fase di realizzazione il progetto è stato più difficile del previsto”. Anche per problemi di natura editoriale, pare di capire. “In effetti, fino ad oggi i responsabili dell’iniziativa siamo stati noi dell’ufficio italiano e la linea seguita è stata sulla scia delle parole del Santo Padre: raccogliere le informazioni relative alla libertà religiosa nel mondo. Oggi, i rappresentanti delle altre sedi di Acs vorrebbero che il focus dell’iniziativa fosse spostato sulla condizione più specifica dei cristiani nel mondo. E questo ha significato una perdita preziosa di tempo”.
L’iniziativa nacque nel 1999, proprio per opera dell’ufficio italiano di Aiuto alla Chiesa che soffre. Fu una sorta di esperimento realizzato su una selezione di paesi. “Il successo di pubblico e di critica dell’iniziativa ci indusse ad ampliare la ricerca a tutto il mondo”. E oggi nel rapporto si trovano informazioni su ogni paese: dati statistici, analisi legislative, parametri economici e giuridici, una sorta di inchiesta a 360 gradi, insomma. “Il rapporto veniva tradotto e pubblicato anche negli altri paesi in cui Acs esiste. Sono aumentati i collaboratori necessari per la stesura e anche l’attenzione intorno a questa nostra pubblicazione”. Quantificato e compreso di tutto – presentazioni alla stampa comprese – il costo dell’iniziativa è arrivato a 46mila euro circa. “Abbiamo tentato di coinvolgere l’opera internazionale per diminuire i costi. Il risultato l’abbiamo portato a casa, ma non per quest’anno”.
Ma c’è un altro tipo di problema che quelli di Acs si sono trovati a dover affrontare: “Siamo soli. I soli che fino ad oggi si sono battuti per affrontare questo tema, speriamo che dalla manifestazione di domani emerga una nuova iniziativa: ci vorrebbe una task force che coinvolga la politica, la società civile, l’associazionismo cattolico e tutti coloro che hanno a cuore i cristiani che vivono in situazione di pericolo permanente. Anche per tutelare la posizione dei nostri missionari nel mondo”. Il problema quindi è ancor più grave e più specifico. “E’ difficile operare nei cosiddetti paesi a rischio, quando si hanno gli occhi puntati addosso. In paesi come Cuba o la Cina, i nostri attivisti spesso non possono intervenire per adempiere alla loro missione originaria, che rimane l’Aiuto alla chiesa che soffre, proprio perché vengono immediatamente identificati come dei veri e propri informatori”. Solo dopodomani si saprà se qualcuna ha veramente a cuore le sorti di questi “militanti”.