Salviamo la letteratura dagli insegnanti e dai suoi critici!

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Salviamo la letteratura dagli insegnanti e dai suoi critici!

11 Maggio 2008

La letteratura è in pericolo. I professori, ostinatamente
concentrati sullo studio delle forme e dello stile, non sono più in grado di
trasmettere i grandi contenuti dei capolavori letterari. Allo stesso modo,
anche la critica letteraria sembra aver perso il contatto con la realtà che si
cela dietro le pagine di narrativa. Risultato: con le nuove generazioni sempre
più distanti dalle librerie, la letteratura sembra aver perso ogni utilità.

A lanciare l’allarme, riprendendo tesi già sostenute da più parti, è uno dei
più grandi intellettuali europei: Tzvetan Todorov, impegnato in una serie di
conferenze per presentare il suo nuovo saggio intitolato appunto “La
letteratura in pericolo” (Garzanti, 2008). Per chi non avesse dimestichezza con
la critica letteraria, è bene spendere due parole sulla figura di questo
intellettuale: “La letteratura in pericolo”, infatti, è anche una presa di
distanza dai suoi studi passati.

Todorov è nato in Bulgaria nel 1939. Conseguito il diploma, sceglie la Francia
come patria adottiva: all’università di Parigi studia filosofia del linguaggio,
concentrando i propri interessi sulle forme letterarie. Tra i suoi professori
c’è il grande Roland Barthes: è lui a diffondere in Francia i principi del
linguista svizzero Ferdinand de Saussure, padre dello Strutturalismo –
disciplina volta allo studio della lingua come sistema autonomo e unitario di
segni.

Per anni Todorov ha seguito l’esempio dei propri maestri. Diventato professore,
ha girato l’Europa e gli Stati Uniti insegnando filosofia del linguaggio e il
pensiero dei formalisti russi. Negli anni ottanta, dopo una vita da linguista,
Todorov ha incominciato ad occuparsi di filosofia e antropologia: rientrano in
questa fase gli studi sulla scoperta dell’America, sul ruolo del singolo nella
storia, sui rapporti tra diverse culture e via fino a “Una tragedia vissuta”,
sui lager e gulag novecenteschi.

In questa fase umanistica rientra anche l’odierna riflessione sulla
“letteratura in pericolo”. Passato allo studio dei grandi temi storici e
culturali del Novecento, Todorov sembra aver preso coscienza della priorità del
contenuto sulla forma anche in campo letterario. Prendiamo “Delitto e castigo”:
è più importante come Dostoevskij ha reso formalmente la conversione di
Raskolnikov, o la profonda riflessione che porta l’eroe a convertirsi, andando
incontro al proprio castigo? Evidentemente la seconda. E se invece la scuola si
limitasse oggi ad analizzare la scrittura del romanziere russo, senza scavare
tra i contenuti delle sue opere? Dostoevskij è solo un esempio, ma il rischio è
concreto: da qui il dubbio che la letteratura sia veramente in pericolo.

“La letteratura in pericolo” parla in primo luogo ai professori. La questione
di base è questa: “Insegniamo un sapere che riguarda la disciplina stessa
oppure il suo oggetto?”. In altri termini: “Studiamo in primo luogo i metodi
d’analisi, che illustriamo ricorrendo a opere di vario genere, oppure studiamo
opere ritenute fondamentali, utilizzando i metodi più diversi?”. La risposta,
purtroppo, è sovente la prima: studiamo i metodi d’analisi, scandagliamo la
struttura dei testi, isoliamo le descrizioni dalla narrazione vera e propria,
suddividiamo in sequenze e così via. È un’esperienza, credo, comune a tutti:
quello che alla scuola importa, più del contenuto, è l’analisi testuale.

Perché la scuola si è ridotta a ciò? Per spiegarlo, Todorov compie un breve ma
esaustivo viaggio nell’evoluzione della concezione letteraria. C’era un tempo,
quello delle civiltà classiche, in cui la letteratura aveva uno stretto legame
con il mondo esterno: parlava della realtà, dell’uomo. Secondo Aristotele, la
poesia era imitazione della natura; secondo Orazio, la sua funzione era piacere
e istruire. A partire da Rinascimento, alla letteratura si chiede di essere bella:
ma la sua bellezza è pur sempre “definita dalla sua verità e dal suo contributo
al bene”.

Tra ‘600 e ‘700, però, l’idea di bellezza si slega sempre più dal mondo reale.
Se prima il bello corrispondeva al vero e utile, ora la bellezza è bella in
quanto tale e “come conseguenza si chiederà agli artisti di produrre oggetti
destinati esclusivamente al bello”: è nata l’estetica. Il risultato, sul fronte
della ricezione da parte del pubblico, è che l’opera letteraria viene percepita
sempre più come istanza autonoma, come altra cosa rispetto alla vita quotidiana
e al mondo. Una linea che prosegue anche nel corso dell’800, con l’utilizzo
dell’arte per giungere a realtà pi%C3