Salviamo Palmira e il patrimonio millenario dell’umanità
21 Maggio 2015
La conferenza che si è svolta di recente a Rabat è stata un primo passo ma per l’Italia è il momento di intestarsi un’altra battaglia dopo quella che ha rimesso la Libia al centro dell’agenda internazionale. Parliamo di una grande campagna che andrebbe lanciata con l’obiettivo di tutelare il patrimonio artistico e culturale minacciato nel mondo, in particolare nell’antica Mesopotamia, tra Siria e Iraq, Hatra e Palmira, dove si spaccano le statue nei musei, grandiosi siti archeologici vengono bombardati e luoghi santi dell’islam contesi con le armi.
Per affrontare una materia simile serve innanzitutto una buona dose di realismo, evitando di applicare alla guerra categorie astratte tipiche di chi da decenni conosce soltanto la pace. La guerra è guerra e ripercorrendo la storia moderna scopriamo facilmente che le ragioni della cultura e dell’arte sono state spesso subordinate a quelle militari e strategiche.
E’ vero che durante l’avanzata angloamericana in Italia nella Seconda Guerra mondiale molte città del Belpaese furono risparmiate, ma quando i “diavoli verdi” della Fallschirmjäger-Division si paracadutarono su Cassino, gli americani, per vincere la determinata opposizione tedesca, decisero di spianare il celebre monastero. Idem per i bombardamenti strategici condotti dagli Alleati sulle grandi città tedesche alla fine della guerra, che non servivano più di tanto visto che ormai Hitler si nascondeva sottoterra. Oppure la pioggia di fuoco scatenata dai B-29 per piegare l’Impero del Sol Levante.
Da una parte e dall’altra, nonostante tutto, sopravvisse un minimo senso della misura, qualche regola, diciamo così, cavalleresca. Ce l’ha ricordato il recente “The Monuments Men”, un film sul progetto Alleato di salvare i beni culturali rubati dai Nazisti, oppure, sul fronte opposto, la storia di quel medico del Terzo Reich impegnato a portare via da Cassino i tesori del monastero prima che finissero sotto le bombe yankee. Se risaliamo ancora più indietro nella Storia va citato ovviamente Napoleone, il generalissimo corso con una truppa al seguito fatta di esperti e addetti all’arte che somigliavano più a predatori che a liberatori.
Il fatto è che oggi nel quadrante mediorientale qualcosa sembra essersi spezzato definitivamente, qualcosa che era iniziato in Afghanistan nel 2001 con la demolizione dei Buddha di Bamiyan. Non ci sembra di peccare d’orientalismo se diciamo che le vecchie regole militari del mondo moderno non valgono più di fronte alle distruzioni odiose e insensate perpetrate dallo Stato islamico o dai Talebani. Non ci sono spiegazioni strategiche che tengano davanti all’annichilimento sistematico delle vestigia del mondo antico portato avanti dai criminali dell’Isis e dai sedicenti studenti coranici.
Se mai c’è un cupo furore, una religione nera e funebre che ci riporta ai saccheggi commessi secoli e secoli addietro, il sacco delle capitali degli imperi, le pianure dove non ricresceva più l’erba, le città sulle quali spargere sale per impedire che risorgessero. Un mondo arcaico dove dissolvere le opere d’arte significava rimuovere una cultura per sostituirla con quella dei vincitori.
Ci sono molte cose che le democrazie occidentali possono fare e già fanno per evitare uno scempio del genere, si pensi al ruolo svolto a livello internazionale dal corpo dei Carabinieri per tutelare il meglio delle grandi civiltà. Così è nostra intenzione proseguire in questa ricerca delle soluzioni più utili e praticabili per difendere la bellezza nel mondo. Per esempio salvare opere e monumenti in pericolo portandoli fuori dalle zone di guerra, per poi restituirle intatte ai legittimi proprietari. Se mai una soluzione del genere trovasse udienza, e non disperiamo visto le ultime dichiarazioni ufficiali arrivate da Damasco, anch’essa andrebbe meditata e organizzata per tempo.