Salviamo PewDiePie dalle manette del politicamente corretto

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Salviamo PewDiePie dalle manette del politicamente corretto

30 Marzo 2017

PewDiePie, alias Felix Kjellberg, è un giovane “vlogger” svedese, cioè un autore di video che da quando è su YouTube ha collezionato oltre 50 milioni di iscritti al suo canale. Per dare un’idea della popolarità raggiunta da PewDiePie, nel 2014 South Park gli ha dedicato un episodio della celebre serie animata. Le sue reazioni esilaranti, esagerate, istrioniche, ai videogame che si diverte a testare con i suoi “Bros”, gli iscritti al canale, lo hanno reso una delle star più seguite in assoluto di YouTube. Se volessimo incasellarlo in un genere, impresa quasi ardua con fenomeni internettiani come PewDiePie, diremmo che il vlogger svedese fa satira. Certo non fa politica, non si è mai schierato apertamente con questo o quel partito, se mai la sua unica colpa è andare contro il mainstream, il politicamente corretto. Per dimostrare quanto può essere fallace il web, ad esempio, PewDiePie ha pagato due indiani tramite la piattaforma digitale Fiverr, un sito per freelance; i due indiani, senza sapere bene cosa stavano facendo, hanno esposto un cartello con su scritto “Uccidi gli ebrei”.

Uno scherzo di pessimo gusto, ma che nelle intenzioni di PewDiePie doveva servire a mostrare le distorsioni del mercato digitale: puoi pagare della gente praticamente per fargli fare le cose peggiori. Ma la pubblica ammenda, le scuse di PewDiePie non sono state sufficienti a calmare le acque. Il riverito Wall Street Journal, corazzata della stampa globalista che nei mesi scorsi paventava sfracelli finanziari se avessero vinto Brexit, Trump e il No al referendum renziano, ha sguinzagliato i suoi reporter per fare il contropelo al materiale postato dal vlogger su YouTube. Il verdetto: almeno nove video pubblicati da Felix nel 2016, secondo il WSJ, sono a rischio antisemitismo. L’accusa è accompagnata da prove ‘inoppugnabili’, del tipo che se PewDiePie indossa un paio di occhialetti tondi lo fa per imitare in modo subliminale il gerarca e criminale di guerra nazista Himmler.

Insomma, secondo il giornalone dell’elite finanziaria, PewDiePie sarebbe un cripto-nazista. Anche per PewDiePie è scattato l’ostracismo toccato in sorte ai trumpisti come Steve Bannon o al blogger Milo Yiannopoulos, inseriti nella lista di proscrizione dei globalisti con l’accusa di essere i nipotini delle SS. Morale, la Disney ha annullato un programma che aveva previsto con PewDiePie, e anche YouTube, cioè i googlocrati, hanno iniziato a penalizzare e limitare l’attività del vlogger sul canale video, quello stesso canale dove basta farsi un giro per trovare, in chiaro, e senza alcuna restrizione, il peggio della propaganda neonazista. Tanto che di recente grandi brand internazionali hanno ritirato la loro pubblicità su YouTube, non per colpa di PewDiePie, ma stanchi di vedere i loro video correlati ad altri che inneggiano ad Hitler e che a quanto pare nessuno ai piani alti di Google si prende la briga di rimuovere.

Qualche censore più solerte di altri è arrivato a teorizzare che PewDiePie sarebbe una sorta di agente d’influenza della “Alt-Right”, dei trumpisti alla Bannon e di siti come Breitbart, per intenderci, questi ultimi accusati di antisemitismo anche se di prove concrete per una imputazione così grave non sembra ce ne siano. Il fatto è che agli omini di Google e YouTube semplicemente non piacciono i “prankster”, i burloni che si prendono gioco di tutto. Per cui è lecito interrogarsi su quale sia il confine tra la satira, la libertà di espressione e l’apologia del nazismo, va bene chiedersi se PewDiePie ha superato il limite con il video postato dai due indiani, ma l’impressione è stiamo rivedendo un film già visto: quello dei grandi media e dei padroni del web che non ci pensano due volte a usare tutti gli strumenti che hanno a disposizione per spazzare via chi utilizza Internet in modo indipendente quanto iconoclasta. Nel regime opprimente del politicamente corretto anche un vlogger innocuo e che si diverte con gli ultimi ritrovati della industria dei videogame può venire messo all’indice se infastidisce la “libera stampa” e il pensiero dominante.