Sandro Ruotolo e l’ambiguità di quel “tutti sapevano”
23 Maggio 2012
di redazione
Chi di spada ferisce di spada perisce. Su tutti i giornali di oggi c’è un nuovo ‘mostro’ in prima pagina. Non parliamo dell’ennesimo sospettato della strage di Brindisi. Ma del giornalista Sandro Ruotolo che due giorni fa ha dato in pasto all’opinione pubblica un nome, un cognome e addirittura una foto della casa di quello che per lui era “il” mostro del terribile attentato alla scuola “Morvillo Falcone”.
Il fido inviato di Michele Santoro, giunto sabato scorso sul luogo per raccogliere informazioni come d’obbligo per chi fa giornalismo d’inchiesta, s’è fatto probabilmente prendere un po’ troppo la mano e ha deciso di vestire i panni di una sorta di Derrick 2.0. Così, nell’era della notizia immediata, ha deciso di bruciare tutti sul tempo pubblicando su Twitter una serie di dettagli sul radiotecnico sospettato dell’attentato di Brindisi. "Lo stragista aziona il telecomando con la mano sinistra. Dalla foto sembrerebbe colpito da un ictus sul lato destro", cinguetta il giornalista.
Poi smaschera l’attentatore rivelandone un’identità ben precisa: “Il cognome sarebbe Strada. Il sospettato si chiamerebbe Claudio. Il fratello che sarebbe in questura”. Come se non bastasse continua a tweettare particolari che rendono sempre più definito il profilo dello stragista che da sospettato per Ruolo diventa sempre più il killer: "Quartiere popolare. Lui mano offesa. Vive con il fratello e una signora. All’ultimo piano di un palazzo. Edilizia popolare". Il passo successivo è la pubblicazione della foto dell’abitazione dell’attentatore. Ma non basta, il giallo si fa sempre più succulento e il giornalista scrive un tweet che sarebbe degno di un libro di Patricia Cornwell: “Ho fatto vedere il volto scoperto dell’uomo che aziona il telecomando ad un suo vicino di casa che era titubante: sì, può essere lui”.
Una sequenza di messaggi che, smentita dall’accertamento dei fatti, ha letteralmente scatenato una bufera proprio sul canale di diffusione utilizzato da Ruotolo: il social network. Così tra un “Giornalisticamente, cosa aggiunge mostrare la strada dove abita questo tizio?”, un “Ma questo non è sciacallaggio in stile b-tv?” e un “Poteva essere più cauto oggi… Domani chi sarà il ‘mostro per un giorno’?” il giornalista da ‘accusatore’ è diventato nel giro di qualche ora l’‘accusato’.
Del resto abbandonare per qualche ora al linciaggio mediatico un uomo su cui si sa ben poco, men che meno se sia realmente implicato nella vicenda, è un errore troppo grossolano per uno come Ruotolo. Ma grossolane sono pure le scuse che il giornalista di Servizio Pubblico ha rivolto al popolo di Twitter: “Accolgo i vostri rilievi ma tutti sapevano. La mia intenzione era di raccontare i fatti. Mi dispiace di aver ferito sensibilità”. Un mea culpa che, soprattutto con quell’ambiguo “tutti sapevano” fa riflettere sul fatto che tutti erano già a conoscenza di una cosa sbagliata. Infatti, come è possibile che le immagini riprese dalle telecamere di sicurezza siano finite subito su Twitter e su Facebook che hanno agito da moltiplicatori della falsa notizia facendola rimbalzare da una parte a l’altra della rete? Forse il vero scandalo è questo.
di Alma Pantaleo