Santoro, chi di pluralismo ferisce di pluralismo perisce

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Santoro, chi di pluralismo ferisce di pluralismo perisce

01 Febbraio 2008

In principio fu il risarcimento. Quello milionario che la RAI fu condannata a pagare nel 2004 dal Tribunale del lavoro di Roma per l’allontanamento dal video di Michele Santoro, giornalista, estromesso dall’azienda radiotelevisiva pubblica nel 2002. Pochi ricordano che, in quell’occasione, la mossa della TV di Stato era stata preceduta da un richiamo ufficiale dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni per la trasmissione Sciuscià, condotta da Santoro, nella quale – si leggeva nel richiamo – «si rilevano gravi violazioni del principio del pluralismo informativo, consistenti nel costante disequilibrio tra le contrapposte posizioni politiche espresse, sia in termini di numero degli ospiti in studio, sia in termini di durata degli interventi a cui si aggiungono il comportamento fazioso del conduttore e la presenza del pubblico schierato per una delle posizioni». Eppure, il giudice del lavoro ritenne che le motivazioni di tutela aziendale non fossero sufficienti alla cacciata di Santoro, e ne sancì il diritto ad essere reintegrato in prima serata. Ciò che avvenne nel 2006, con il ritorno del centrosinistra al governo: la partenza di “Annozero”, la nuova trasmissione di Santoro, fu salutata dagli antiberlusconiani come il ripristino della libertà di parola dopo il regime imbavagliatore.

A seguire, arrivò un secondo risarcimento. Quello chiesto da Santoro all’allora ministro della Giustizia Clemente Mastella, colpevole di aver reso noto il compenso percepito dal conduttore per la stessa trasmissione. In realtà, quella di Mastella era stata poco più che una battuta, seguita allo scontro in diretta tra il giornalista e il ministro, ospite di una puntata di “Annozero”. Mastella aveva lasciato polemicamente lo studio durante la puntata sul Gay Pride, subito scomunicato da un sermone di Santoro, che aveva stigmatizzato nel suo gesto l’”arroganza della politica”. Ci vuole un bel coraggio, chiosò il capo dell’Udeur, a parlare di arroganza della politica quando si guadagna circa un milione di euro l’anno. Al giornalista non sembrò un’attenuante il fatto che si trattasse palesemente di una cifra azzardata (come lo stesso Santoro ammise rivelando poi di persona l’esatto ammontare dello stipendio, 250mila euro), fornita da Mastella in replica a un attacco indiscriminato, partito quando era ormai impossibile ogni replica. In quest’occasione, il governo di centrosinistra cominciò a sospettare che l’allontanamento di Santoro dalla RAI non fosse poi così infondato, e che le ragioni andassero cercate in altri fattori che non il pronunciamento berlusconiano più noto come l’”editto bulgaro”. Lo stile di Santoro non era sostanzialmente mutato rispetto all’epoca della cacciata: parzialità, faziosità, mancanza di equilibrio, e un’evidente aspirazione a fare dello studio televisivo il surrogato mediatico di un’aula di tribunale, nella quale – beninteso – a celebrare l’incontestabile processo era lo stesso Santoro con i suoi chierichetti (allo storico Ruotolo si erano aggiunti Travaglio e Vauro). Ma a farne le spese ora, oltre a Berlusconi e alla sua parte politica, sembrava essere la stessa maggioranza sotto la cui ala protettiva era maturato il ritorno del giornalista.

La storia si conclude con un terzo risarcimento: quello per i telespettatori. Un nuovo pronunciamento dell’Autorità Garante delle Comunicazioni sancisce oggi ancora una volta, se ce ne fosse stato bisogno, che “Annozero”, la trasmissione-simbolo della ritrovata libertà di informazione, è di fatto una violazione continua al pluralismo; quello stesso nel nome del quale il suo conduttore, Michele Santoro, è stato riaccolto a braccia aperte di mamma RAI, con il famoso microfono tutto suo. Non pago di affermare a chiare lettere che “in Tv il processo, lo pseudo processo o la mimesi del processo non si possono fare” e che “l’informazione deve essere equilibrata, obiettiva e deve garantire il contraddittorio senza anticipare giudizi su questioni ancora subiudice”, il presidente dell’AGCOM Calabrò ha fatto intendere che non ci saranno sconti per chiunque voglia coprire ancora l’operato scorretto di Santoro. A fare le spese dell’eventuale perseveranza nella violazione dei “principi di imparzialità e parità di trattamento nella consumazione del contraddittorio” saranno infatti i dirigenti RAI responsabili, verso i quali l’autorità chiederà alla TV di Stato di attivarsi. Resta un solo dubbio: ma ora che gli spettatori sono stati ripetutamente ingannati, ora che l’arbitrio di un tribuno è stato fatto passare ai loro occhi per diritto inviolabile, ora che i loro soldi sono stati copiosamente spesi per risarcire chi li aveva danneggiati, ora chi li risarcirà?