Sapessi com’è strano fare le alleanze a Milano
07 Ottobre 2015
di Andrea Spiri
A Milano, già negli anni della cosiddetta "Prima Repubblica", sono stati spesso disegnati i contorni del laboratorio politico italiano. All’ombra del Duomo si sono fatte e disfatte alleanze che hanno ammantato di realismo i propositi di ridefinire le direttrici strategiche del quadro politico.
Fu così, per fare un esempio, nel 1961, con la nascita della giunta Cassinis, un tripartito Dc-Psi-Psdi che avrebbe rappresentato la prova tecnica per il futuro, aprendo di lì a poco, nel 1963, le porte al centro-sinistra di respiro nazionale. E le elezioni del giugno 1975, che portarono all’insediamento della prima giunta Pci-Psi guidata da Aldo Aniasi, dipinsero una mappa completamente nuova del potere locale ridando fiato, dopo l’esperienza del referendum sul divorzio del 1974, ai cantori dell’alternativa di sinistra al potere democristiano, una strategia che trovò all’interno del Partito socialista nuovi sostenitori, sempre più timorosi che l’abbraccio del compromesso storico avrebbe potuto limitare i già residui spazi di manovra delle forze "intermedie".
Oggi Milano torna al centro del dibattito pubblico, a pochi mesi dal rinnovo dell’amministrazione comunale. La scelta del nuovo Sindaco, la composizione degli schieramenti e i risultati che ne conseguiranno, rappresentano infatti le chiavi di volta di una partita che avrà inevitabili riflessi sul piano nazionale.
Posto che il dibattito sulla scelta del migliore candidato a guidare Palazzo Marino e sulla definizione di una piattaforma politico-programmatica per il futuro della città è ancora allo stato embrionale, l’attenzione generale non può che essere rivolta alle alleanze tra i partiti.
Una questione che racchiude in sé tre elementi di riflessione, chiamando in causa da un lato la Lega Nord, stretta nella morsa della "contrapposizione" tra il governatore lombardo Roberto Maroni e il segretario federale Matteo Salvini, e dall’altro Forza Italia, che sulla riconquista della città simbolo del berlusconismo si gioca le carte residue della credibilità e dell’avvenire politico. E che certo finisce per interessare un "terzo incomodo", ossia il Nuovo Centrodestra, che al momento siede tra i banchi del governo della Regione.
Salvini si allontana dal solco tracciato da Maroni, ben consapevole che l’inasprimento dei rapporti con la componente centrista potrebbe ripercuotersi sulla stabilità della sua compagine governativa, aprendo la strada allo sfilacciamento di una maggioranza regionale il cui buon lavoro è testimoniato dagli indicatori economici positivi e dal grado di fiducia che le rilevazioni demoscopiche gli attribuiscono. Come giustificare, di fronte agli elettori prima ancora che al cospetto del buon senso, la scelta di separare le strade in vista del decisivo voto comunale ?
Più che una scommessa, quello del giovane leghista in felpa appare a tutti gli effetti un azzardo che potrebbe ostruire il percorso di crescita del suo movimento ma che soprattutto potrebbe rivelarsi esiziale per le ambizioni personali in ottica nazionale. Porre un veto al dialogo con Ncd e magari ritrovarsi nuovamente all’opposizione del capoluogo lombardo significherebbe infatti assistere all’inevitabile esaurimento della forza propulsiva espressa dalla leadership salviniana.
Il migliore alleato di Roberto Maroni per condurre a più miti consigli il proprio successore a via Bellerio può rivelarsi in questa fase il presidente di Forza Italia, Silvio Berlusconi. A lui toccherebbe oggi dimostrare capacità di trascinamento (antica virtù di un tempo) per aggregare le diverse sensibilità e posizioni che costellano il centrodestra italiano, fornendo prova che l’interesse alla riconquista della "sua" Milano sovrasta logiche di parte, diffidenze e recriminazioni.
Il tempo a disposizione va esaurendosi. Lunedì prossimo il Consiglio federale della Lega scriverà la parola fine a questa discussione e verrà fatta una scelta, ha spiegato poche ora fa il governatore della Lombardia.
Nel frattempo, Ncd prosegue il suo quotidiano lavoro sul territorio, dove gode di un ottimo radicamento, con uno sguardo ai contorcimenti dei possibili futuri alleati. Nella consapevolezza, però, e trattasi di un dato oggettivo, che il doppio turno previsto per le elezioni comunali potrebbe sollecitare il desiderio dei suoi esponenti a tentare un’avventura solitaria e a far valere in tal modo il peso della forza elettorale. Cosa direbbe in quel caso Matteo Salvini ? Sarebbe pronto a "turarsi il naso" ? Noi scommettiamo di sì. Tu chiamala, se vuoi, coerenza.