Sarà il 2011 a decidere il vero valore di Obama… e della sua bambola

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Sarà il 2011 a decidere il vero valore di Obama… e della sua bambola

03 Gennaio 2011

In America le bambole delle star sono spesso considerate un indicatore del successo e della celebrità dei personaggi che raffigurano. Il loro prezzo la dice lunga su quanto questo o quella figura pubblica sia sulla cresta dell’onda o in fase calante.

Sotto Natale la bambola di Michelle Obama veniva venduta a 130 dollari, quella di Sara Palin a 36, quella di Hillary Clinton a 29.95. Il bambolotto di Barack Obama, alto 15 centimetri e con 8 diverse posizioni, può essere comprato on-line per 6 dollari. Per incoraggiare le vendite i produttori promettono di versare un dollaro alla campagna di Obama per ogni bambola venduta. Il secondo anno del primo presidente nero alla Casa Bianca finisce con una svendita, ma sarà il 2011  a decidere il vero valore di Obama…e della sua bambola.

Il presidente dovrebbe tenersi cari i pochi giorni di vacanza che si è concesso alle Hawaii con la famiglia perché difficilmente nell’anno che verrà potrà permettersi di prendere fiato. Il 2011 è l’anno in cui Obama si gioca la rielezione. Il 3 gennaio 2011 si inaugura il 112° Congresso degli Stati Uniti, quello uscito dalle elezioni di mid-term dello scorso novembre e dal quel momento il presidente sarà un’anatra zoppa, avendo perso la maggioranza alla Camera e mantenuto di misura quella al Senato.

Per Obama comincia una fase nuova e difficile. I repubblicani entrano nell’anno delle loro primarie, quelle che dovranno decidere lo sfidante per il presidenziali del 2012. Per il Gop in sostanza la campagna elettorale inizia subito, i riflettori saranno puntati su di loro, l’agenda conservatrice – in tutte le varie sfumature – sarà al centro del dibattito pubblico. Il primo incontro tra i concorrenti è già fissato per la primavera alla Fondazione Ronald Reagan.

Sara Palin sarà la star dei comizi e delle televisioni e sulla sua scia cominceranno a brillare i vari Mitt Romney, Tim Pawlenty, Mike Huckabee, Marco Rubio – l’Obama ispanico – o Bobby Jindal – figlio dell’India – solo per citare i più famosi e promettenti. I candidati gireranno il paese in lungo e in largo dando il via da subito alla macchina del fund raising e della comunicazione politica.

Obama sarà richiuso a Washington schiacciato dalla fatica di governare un paese che ancora non dà cenni ripresa. Gli storici segnalano che nessun presidente, dopo Franklin D. Roosevelt, ha vinto una rielezione con un tasso di disoccupazione superiore all’8 per cento. A ottobre il tasso era del 9.6 e le previsioni del Fondo Monetario per il prossimo anno parlano di un 10 per cento. Pochi ricordano che George W.Bush lasciò la Casa Bianca con un tasso di disoccupazione al 6.5.

Non solo, Obama esce da due anni di governo a dir poco catastrofici e ampiamente puniti dagli elettori di mezzo termine. Gran parte della sua “narrativa” elettorale è naufragata in breve tempo: non si è vista la soluzione dei problemi dell’immigrazione, del riscaldamento globale e delle nuove fonti di energia; Guantanamo non è chiusa e ancora piena di prigionieri, non c’è stato il cambio di passo con il mondo islamico e l’America è ancora “rossa e blu” come Obama l’aveva trovata e aveva promesso di cambiarla.

Tratto da Il Tempo