Sarà la Fiat la vera “vittima” dell’intesa interconfederale
04 Luglio 2011
Solo un piccolo passo avanti. L’accordo interconfederale sottoscritto il 28 giugno tra Confindustria, Cgil, Cisl e Uil, infatti, concede solo una parziale apertura ai problemi delle moderne relazioni industriali. Certo, non ne è la soluzione. A cominciare dai problemi della Fiat, promotrice con le intese aziendali di un discorso d’innovazione nei rapporti tra aziende e lavoratori, che sul nuovo accordo potrà contare poco per risolvere le questioni giudiziarie legate agli interventi di Pomigliano, Mirafiori e Grugliasco.
L’accordo è stato unitario. Diversamente dalle attese della vigilia, infatti, è stato firmato anche dalla Cgil, nonostante le forti resistenze interne della Fiom. Ma una ragione c’è: la Cgil parla di vittoria; e forse non ha tutti i torti. E’ stata la prima volta di Susanna Camusso alla guida della Cgil e, con questa firma, ha dato anche idea della sua linea al vertice del sindacato rosso. Stop all’isolamento: a chi sogna l’ora ics che cancelli un passato di virtuosa azione sindacale, ha detto Camusso, "stavolta l’abbiamo messo noi il bastone tra le ruote" a quella che ha chiamato "strategia di smantellamento, che prevedeva l’isolamento della Cgil" (“obiettivo del centro destra”, tanto per non contraddire la voce politica delle azioni del Sindacato rosso).
Sui contenuti dell’accordo la Cgil parla di successo. Ed è difficile dargli torto. I temi messi sul tavolo delle trattative erano essenzialmente due: la rappresentanza sindacale e il valore da dare agli accordi, nazionali e aziendali. Sul primo tema si trattava di stabilire le regole per determinare in che misura una sigla sindacale è rappresentativa dei lavoratori. La soluzione corrisponde alle attese. Infatti, il primo punto dell’accordo sottoscritto il 28 giugno stabilisce che, ai fini della certificazione della rappresentatività delle organizzazioni sindacali per la contrattazione collettiva nazionale di categoria, si assumono come base i dati associativi riferiti alle deleghe relative ai contributi sindacali (raccolti tramite l’Inps e certificati dal Cnel), da ponderare con i consensi ottenuti nelle elezioni periodiche delle Rsu (rappresentanze sindacali unitarie) da rinnovare ogni tre anni, con uno sbarramento al 5%. Cioè, è necessario che il sindacato superi il 5% di rappresentatività del totale dei lavoratori di categoria per poter essere legittimato a negoziare.
Il secondo tema si presentava più intricato. Riguardava la fissazione dell’ordine di validità degli accordi nei loro tre tradizionali livelli: nazionale, territoriale e aziendale. L’attenzione era concentrata sulla cosiddetta “esigibilità” del contratto aziendale: la possibilità, cioè, di disapplicare (uscire da = opting out) il contratto nazionale per riferirsi esclusivamente a quello aziendale. E’ soprattutto su questo punto che la Cgil canta vittoria. La Camusso infatti parla di «ipotesi d’accordo che ribadisce il valore decisivo del contratto nazionale» e proprio in un periodo durante il quale, contrariamente, si stava "assistendo alla moltiplicazione di accordi separati e di contratti aziendali sostituitivi del contratto nazionale". La leader della Cgil spiega la sua vittoria per l’aver "bloccato una deriva nel segno della deregulation, della destrutturazione dei contratti nazionali". Infine, replicando alle perplessità della Fiom, spiega che nel nuovo accordo "non c’è nulla di retroattivo e che comunque le intese modificative non toccano i diritti dei lavoratori".
Quest’ultima dichiarazione è molto chiara sulla reale portata del nuovo accordo per le vicende della Fiat. Serve poco, per i due motivi indicati dalla Camusso: primo perché l’intesa non è retroattiva e, dunque, non può sanare le posizioni in lite della Fiat con la Fiom; secondo perché, a seguito del nuovo accordo, un’intesa aziendale modificativa del contratto nazionale non potrà mai riguardare prerogative “personali” dei lavoratori – fattispecie contemplate negli accordi aziendali Fiat – ma vincolerà esclusivamente le rappresentanze sindacali.
Quanto al primo problema servirebbe una legge per estendere l’efficacia dell’accordo al passato. La soluzione convince poco tutti – Confindustria, Sindacati e ministro del lavoro – che restano tuttavia “possibilisti”. Da ultimo il ministro Sacconi ha detto che "non farà una norma di legge se non richiesta dalle parti sociale", per affermare cioè il contrario. Ossia che se richiesto dai sindacati si potrà avallare l’intesa con una disposizione legislativa. Il problema sull’efficacia retroattiva ha spinto Sergio Marchionne a scrivere alla Marcegaglia e spiegare che, “senza ulteriori passi” che garantiscano l’applicazione delle intese di Pomigliano, Mirafiori e Grugliasco (che risolvano, cioè, i problemi giudiziari), Fiat si vedrà “costretta” ad uscire da Confindustria da gennaio 2012.
La Fiat, oltre alla mancanza di efficacia retroattiva dell’accordo, è coinvolta in prima persona anche dal secondo dei problemi: l’intesa aziendale modificativa del contratto nazionale non può riguardare prerogative personali dei lavoratori, ma vincola esclusivamente le rappresentanze sindacali. Infatti, il nuovo accordo prevede che "la contrattazione collettiva aziendale si esercita per le materie delegate, in tutto o in parte, dal contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria o dalla legge", praticamente ripetendo quanto già stabilito dall’accordo del 2009. Anzi, introduce e rafforza una sorta di divieto alla deregulation (ha detto bene, allora, la Camusso) laddove stabilisce che i contratti aziendali, i quali definiscano clausole di “tregua sindacale”, hanno effetto vincolante esclusivamente per tutte le Rsa e associazioni sindacali firmataria dell’accordo, “non per i singoli lavoratori”. Una norma del genere, a dire il vero, sembra un’autostrada che si apre al Giudice per decidere sul punto 15 dell’accordo aziendale Fiat, il quale stabilisce che i suoi contenuti sono parte integrante dei singoli contratti di assunzione dei lavoratori "sicché la violazione da parte del singolo lavoratore di uno di essi costituisce infrazione disciplinare" con facoltà per l’azienda di adottare i provvedimenti disciplinari conservativi e di licenziamento.
Insomma, tutta l’apologia dell’intesa unitaria sul nuovo accordo sindacale sembra diluirsi, alla fine, nel solito rituale del modificare le regole per lasciare immodificati i principi. Sul problema centrale, ossia sulla possibilità di formulare relazioni industriali a misura di azienda, peraltro, l’accordo del 28 giugno sembra andare addirittura contromano: piuttosto che aprire alla contrattazione aziendale mediante una deregolamentazione dei principi nazionali, stabilisce i confini dell’azione sindacale territoriale, di fatto penalizzando la Fiat. Siamo alle solite insomma: l’Italia che vuole correre è costretta a camminare. O a fuggire all’estero.