Sarà un anno tempestoso ma chi ci governa fa finta di niente

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Sarà un anno tempestoso ma chi ci governa fa finta di niente

02 Gennaio 2012

Abbiamo appena dato l’addio ad uno degli anni più orribili del dopoguerra. Ma non lo abbiamo fatto con l’animo lieve di chi nutre speranze migliori per il prossimo avvenire. Quel che riusciamo ad intravedere si profila ben peggiore di ciò che si è manifestato nel recente passato.

Non è soltanto la crisi economica e finanziaria a tenerci in apprensione. E neppure il pesante fardello di tasse a cui dovremo far fronte sapendo, oltretutto, che il sacrificio che ci viene imposto servirà a poco o niente. Siamo consapevoli, infatti, che l’insostenibile leggerezza dell’euro ci trascinerà sempre più velocemente nel baratro del conflitto sociale, originato dall’inevitabile disoccupazione connessa alla recessione programmata dal momento che nulla è stato fatto per evitarla o almeno contenerla.

È questa particolare e sconvolgente natura della catastrofe europea ad alimentare le nostre inquietudini. Saremo certamente più poveri, avremo minore fiducia nell’avvenire, rinunceremo a coltivare ambizioni improprie per quante umane, ma non saremo in grado affrontare le difficoltà che si pareranno dinanzi a noi perché il nostro destino ci è sfuggito dalle mani, se non vogliamo dire che ce lo siamo fatti sottrarre con il bovino consenso che abbiamo dato a centri di potere incontrollati ed incontrollabili dai parlamenti nazionali.

Perciò la prospettiva del calo della produzione, dell’assottigliarsi delle speranze di inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, l’aumento (ormai certificato e da nessuno più contestato) di ben trecentomila disoccupati che andranno ad aggiungersi agli oltre due milioni che non hanno mai un impiego ed ai molti sottoccupati, sfruttati, schiavizzati (soprattutto extracomunitari) è francamente spaventosa. E terrorizza ancora di più il prevedibile scontro tra poveri, emarginati, esclusi che pregiudicherà la sicurezza sociale. Paradossalmente non saranno antagonisti dello Stato, ma nemici tra di loro nel tentativo più che comprensibile di assicurarsi un po’ di vita e di spazio: più che un lavoro, insomma, l’elementare sopravvivenza.

Stanno di fronte a simile dramma cacofonie politiche e sindacali espresse da oscure e torbide parole che non fanno altro che acuire rabbia e sconforto. Nessuno sa dire che cosa si sta preparando nelle profondo della società italiana, non meno che in quelle europee, di terribile e di tragico. Gli indignati, dopo folcloristiche apparizioni nelle contrade del vecchio Continente, si sono eclissati, segno che la loro improvvisata protesta non significava nulla e non era sostenuta da idee alternative rispetto a quelle che hanno fatto deflagrare la società capitalistica occidentale. 

Dovremmo essere contenti di tale effimera epifania finita nel nulla? Non direi. Quando il silenzio avvolge il malessere c’è da preoccuparsi maggiormente. Nessuno può dire se, come e quando ed in quali forme, soprattutto, riaffioreranno manifestazioni di inquietudine tali da travolgere la società civile e pregiudicare la stessa lotta alla crisi che ha prodotto la paura e la disperazione. Se il proletariato od il sottoproletariato (figure e categorie che ritenevamo bandite nella società affluente) saranno con ogni probabilità le "avanguardie" (come avrebbero detto i marxisti di un tempo) di una rivoluzione impossibile, ma di disordini più che probabili, è quasi certo che il ceto medio si assottiglierà al punto da non essere più riconoscibile e si ritrarrà fino a non offrire possibilità di lavoro a chi sta peggio di esso. Ceti diversi, distanti ma una sola battaglia li accomunerà: tenere la vita con i denti.

Nelle laiche omelie che i capi di Stato e di governo ci hanno propinato negli ultimi giorni dell’anno non ho colto accenni a questi preoccupanti scenari. Certo i pensieri di chi regge le sorti delle nazioni europee erano tutti rivolte allo spread e al default. Ma mi chiedo come mai nessuno si pone il problema del fallimento di un sistema economico, sociale e politico che ci ha portato alla disgregazione che allarma chiunque. I cittadini avrebbero volentieri ascoltato parole autocritiche, piuttosto dei severi richiami ad una "sobrietà" diventata un mantra senza senso tanto è stata evocata, e magari qualche ipotesi su nuovi modelli da sperimentare.

Inutile: quando mancano le idee e la politica viene surrogata dalla finanza e la sovranità dei popoli appaltata ai mercati, alle banche, agli speculatori il minimo che possa accadere è la rinuncia ad avere un destino. Con tutte le conseguenze che la storia ci ricorda. Già, la storia. Qualcuno tra Bruxelles, Francoforte, Roma e Berlino la studia ancora?