Sarkò a Damasco cerca l’appoggio siriano. Ma di Assad ci si può fidare?
05 Settembre 2008
Sarà un bluff o no? Se lo chiedono in molti in questi giorni, anzi in queste ore. L’aria bizantina del giovane Bashir non aiuta i tentativi d’interpretazione. Non è una novità. Quando si ha a che fare con i furbetti del quartierino Assad, si rischia sempre di sbagliare. Deve essere un vizio di famiglia, e non solo il riflesso condizionato tipicamente mediorientale che porta costantemente a celare le proprie intenzioni. E così capire se quella siriana di oggi sia vera apertura rimane impresa ardua. Sarkozy sembra crederci ed ha dato fiato alle trombe della redenzione internazionale del leader siriano. Se n’è avuta ulteriore riprova nei colloqui di ieri a Damasco. Il clima era quello delle grandi svolte. Alleviato per di più dalla notizia della “fuga” del leader di Hamas in esilio a Damasco, Khaled Meshaal, in Sudan. Una sceneggiatura perfetta.
Nel merito si è parlato soprattutto dei negoziati indiretti tra Siria e Israele e del dossier nucleare iraniano. Un incontro a quattro cui hanno partecipato anche il premier turco Erdogan e l’emiro del Qatar Hamad bin Khalifa Al Thani. Le aperture ci sono state: da parte di tutti e su tutte le questioni. E Sarkò ha portato così a casa l’ennesimo successo d’immagine ed altrettanto ha fatto Assad. Sui negoziati siro-israeliani, Sarkò è stato chiaro: i colloqui devono andare avanti per trasformarsi il prima possibile in una negoziazione diretta. La Francia è pronta a dare il suo contributo. La sponda di Assad non poteva essere più immediata e diretta: “Stiamo aspettando la risposta delle autorità israeliane al testo in sei punti che abbiamo presentato loro attraverso la Turchia” e che dovrebbe servire come base per i futuri colloqui a due. Che vedranno, ha aggiunto Assad di rimando a Sarkò, la Francia in prima linea. Ovvio. Chissà invece cosa avrà detto il presidente siriano a Sarkozy sul dossier iraniano. Parigi vorrebbe che Damasco facesse pressioni su Teheran per indurre l’Iran ad accettare la strada diplomatica e a sospendere il processo di arricchimento dell’uranio. "C’è bisogno della Siria per convincere l’Iran sul programma nucleare". Le parole di Sarkò in conferenza stampa ne sono la riprova. Ma su questo punto Assad è stato più freddo e si è limitato ad auspicare una soluzione politica per la crisi. Infine è giunta, sempre dal presidente siriano, la conferma che entro la fine dell’anno avverrà lo scambio di ambasciatori con il Libano e la conseguente normalizzazione dei rapporti diplomatici tra i due paesi dopo 60 anni.
La domanda, però, resta la solita: c’è da credere a Damasco? I segni sono discordanti. In questi mesi in Medio Oriente è successo di tutto. Tanti eventi che ancora restano avvolti nel mistero. Ma tutti quanti hanno a che vedere, direttamente o indirettamente, con la Siria. Il primo lo scorso febbraio, quando un’autobomba ha ucciso a Damasco Imad Mughniyeh, l’inafferrabile mente militare di Hezbollah. Un colpo durissimo per l’organizzazione. Subito i siriani ed Hezbollah hanno puntato il dito contro il Mossad, con la gran parte della stampa araba a fare da gran cassa. Ma gli interrogativi restano. Anche perché Imad è stato ucciso in pieno centro a Damasco ben al di dentro della sua impenetrabile cornice di sicurezza – garantita dai servizi siriani ed iraniani – con un’operazione estremamente complessa. Probabilmente troppo anche per lo stesso Mossad. L’altro episodio è invece più recente. Ai primi di agosto in uno chalet del lussuoso resort Rimal al-Zahabieh, poco a nord del porto siriano di Tartus, il generale Mohammed Suleiman è stato freddato da un cecchino, probabilmente appostato a bordo di una barca. Un uomo importante: fedelissimo del presidente Assad, era il responsabile della sicurezza del palazzo presidenziale e l’anello di congiunzione con Hezbollah. L’uomo che gestiva le forniture di armi al Partito di Dio, non ultima, parrebbe, anche una partita di pericolosissimi missili terra-aria SA-8. Un’altra morte misteriosa.
Sono in molti a pensare che i due assassini siano in realtà collegati. Chi ha premuto il grilletto? Pensare agli israeliani viene istintivo: i due da tempo erano nel mirino del Mossad. Scontato, quasi automatico. Ma ecco un’altra interpretazione. Dietro la morte di Mughniyeh e di Suleiman ci sarebbe in realtà lo stesso regime siriano. Gli assassinii sarebbero serviti a conferire maggiore credibilità all’apertura di Damasco ad Israele e Occidente. “Non vi fidate di noi? Ecco allora che vi diamo la prova della nostra affidabilità”. E così muore prima lo stratega militare di Hezbollah e poi l’uomo di collegamento tra il regime siriano ed il Partito di Dio. La dote portata da Assad sull’altare del proprio rientro nella comunità internazionale. Una dote gradita, a giudicare dalle tante porte che si sono aperte di fronte a Damasco negli ultimi tempi.
Un’ipotesi che avrebbe sicuramente una sua logica, contrastata però da segni e mosse di carattere opposto. Le forniture di armi ad Hezbollah – via Siria – non sono mai cessate in questi mesi. Anzi, l’arsenale di Hezbollah oggi sarebbe forte di 40.000 razzi e qualitativamente addirittura superiore a quello con il quale venne affrontata la guerra con Israele due anni fa. E poi l’asse con l’Iran, rinsaldato con il rinnovo degli accordi di cooperazione militare. Manca, però, la mossa più eclatante, il colpo di teatro: la visita di Assad a Mosca, appena conclusa la guerra in Georgia, per rilanciare la partnership tra i due paesi. Al centro dei colloqui le armi, le tanti armi che Assad vuole: aerei, nuovi sistemi anticarro e missili terra aria per rafforzare la scalcagnata difesa aerea siriana. In cambio la Siria è pronta nuovamente ad ospitare le navi russe del mediterraneo nel porto di Tartus e ad acconsentire allo schieramento dei missili terra-terra Iskander – molto più precisi degli Scud attualmente nell’arsenale siriano – sul proprio territorio per bilanciare lo schieramento dello scudo americano in Polonia. Capirai, un putiferio. Olmert che telefona a Putin, la Casa Bianca che si inquieta e Mosca che si affretta a smentire l’ipotesi Iskander lasciando però intendere che armamento “difensivo” potrebbe anche essere fornito a Damasco.
La questione diventa allora di difficile comprensione. S’ingarbuglia ancora di più, e nuovi particolari si aggiungono alla sceneggiatura dei commediografi di casa Assad. Anche perché da più parti si parla, come se non bastasse, di altro, soprattutto di una profonda spaccatura all’interno del regime siriano per via delle aperture ad Israele. Spaccatura che si rifletterebbe dentro Hamas – e prova ne sarebbero gli scontri dello scorso agosto – e dentro Hezbollah, dove sarebbero giunte a maturazione le divisioni tra una fazione più aperturista ed un’altra arroccata sulla tradizionale linea di lotta permanente con Israele. Probabilmente tutte queste interpretazioni sono giuste… ma sbagliate allo stesso tempo. Il regime può essere veramente interessato all’apertura a Israele – nel qual caso ci sarebbe proprio Damasco dietro l’uccisione di Mughniyeh e Suleiman – ma per controbilanciarla sarebbe costretto allo stesso tempo a rafforzare i legami con Teheran ed Hezbollah, nella malaugurata ipotesi che i colloqui dovessero naufragare. Del resto il primum vivere è una regola che da sempre regna in Medio Oriente, in particolare in Siria. Ed eccoci al bluff. Al grande trappolone teso da Assad per salvare la propria poltrona. L’apertura siriana ad Israele? Un’operazione di maquillage internazionale che servirebbe semplicemente ad annacquare il rapporto della commissione che indaga sull’assassinio dell’ex premier libanese Hariri e ad evitare il giudizio del tribunale internazionale. Dai furbetti del quartierino di Damasco ci si può attendere di tutto. Tranne la trasparenza.