Sarkò o Hollande? Ecco come dagli Usa si guarda alle presidenziali francesi

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Sarkò o Hollande? Ecco come dagli Usa si guarda alle presidenziali francesi

21 Aprile 2012

Domani si accenderanno finalmente i riflettori sulle presidenziali francesi. Al via il primo turno elettorale. Dieci i candidati. I giochi però sembrano fatti e i nomi dei due uomini che andranno al secondo turno del 6 Maggio prossimo sono quasi certi: il presidente uscente sostenuto dall’UMP, Nicolas Sarkozy e François Hollande, il candidato socialista, quest’ultimo favorito nei sondaggi tanto al primo che al secondo turno. Da notare quel ‘quasi certi’ visto che dal 2003 in poi in Francia al primo turno possono esservi sempre delle gradite, o sgradite, sorprese come quella di Jean-Marie Le Pen, leader storico del Front National, andato al secondo turno contro Jacques Chirac. 

La Francia che il presidente Sarkozy consegna ai francesi (e all’Europa) alla fine del suo quinquennato è certamente un paese con minore potere relativo di quanto non ne avesse nell’immaginario collettivo occidentale solo una decina di anni fa. Questo per varie ragioni: la crisi, l’arrancare del sistema produttivo francese rispetto a quello tedesco, una crescita sempre al di sotto delle aspettative, e molte altre ragioni che non possono essere esaurite del tutto in questa sede.

Quel che è interessante notare qui è l’importanza che queste elezioni ricoprono nella prospettiva evolutiva delle relazioni franco-tedesche e dunque l’impatto che esse avranno negli equilibri occidentali: quello che emergerà sarà un governo che farà andare la Francia d’amore e d’accordo – come Sarkozy ha fatto almeno pubblicamente – con la cancelliera tedesca Angela Merkel, la matrigna dell’austerità imposta al resto dell’Europa, oppure no? Visto che il candidato socialista Hollande ha già dichiarato che il ‘fiscal compact’ merkeliano – e il rigorismo di bilancio che esso impone – non lo convince affatto, l’interesse di tutto il circo mediatico europeo e statunitense per queste elezioni d’Oltralpe sta solo nel capire se la leadership merkeliana europea sarà sfidata dalla cultura della spesa a debito di Hollande oppure no.

Una domanda questa che in prospettiva interessa anche l’America. Anche oltre-Atlantico, infatti, in quella che è la nozione degli affari europei, la Francia è ormai percepita al traino della Germania, tanto sul piano economico che su quello politico. E prima di restaurare nell’immaginario americano l’idea di una guida from Paris degli affari europei – tanto per mettere dei limiti, parliamo eminentemente di East Coast ovvero New York, Boston e Washington DC visto che fuori da questi tre hub cittadini del fatto che in corso vi siano delle elezioni francesi non si ha sentore -, ce ne vorranno di sforzi politici e di battaglie vinte.

Sulla stampa americana, a partire dai due bastioni del giornalismo newyorkese, il New York Times e il Wall Street Journal, Sarkozy è dato tutto sommato per spacciato. Le analisi che soggiacciono al quadro che emerge dai sondaggi sono diverse però. Per il Times Sarkozy avrebbe sostanzialmente perso il suo appeal sull’elettorato di Francia, complice le aspettative tradite. Quanto al WSJ, le ragioni della sconfitta probabile di Sarkò starebbero più nelle profonde ferite che la crisi dell’euro ha inflitto al tessuto sociale e produttivo francese.

Quanto alle relazioni tra la Francia e gli Stati Uniti, i rapporti tra Nicolas Sarkozy e il presidente Usa Barack Obama sono eccellenti. Come dimenticare la calorosa accoglienza che il neo-eletto inquilino dell’Eliseo concesse al candidato Democratico Obama nell’estate del 2008, con tanto di conferenza stampa congiunta a cui chi scrive prese parte. Buona visibilità che un (non più tanto) popolare Obama oggi rende a un Sarkozy piuttosto “spacciato” (questo l’aggettivo usato in un fuori onda dal suo primo ministro, François Fillon) quando una settimana fa, in una tele conferenza filmata ad hoc da un giornalista, Obama si è prestato a un endorsement al suo amico ‘Ni-co-là’. Ma i tempi dell’obamania sono finiti e nulla potrà salvare Sarkozy dall’ineluttabile fine di un ciclo politico, quello post-gollista. L’aspetto positivo della sua partenza è che forse la Merkel si troverà più isolata di prima a livello europea, fatto che in sé non è necessariamente una male.