
Scacciavillani: “Ecco come la Cina ha turlupinato l’Occidente”

26 Maggio 2023
Il rapporto tra Cina e Occidente è un tema centrale di questi anni. Anche se l’invasione dell’Ucraina sta spostando il focus delle opinioni pubbliche sulla Russia, non si può sottovalutare la il ruolo cruciale che il Paese di Xi Jinping sta acquisendo nello scacchiere globale. Questo è uno dei motivi per cui vale la pena leggere “Il furto del millennio. Come la Cina ha turlupinato e depredato l’Occidente”, il libro dell’economista Fabio Scacciavillani e del giornalista Michele Mengoli.
Abbiamo intervistato Fabio Scacciavillani che, dopo aver lavorato al FMI, alla BCE e a Goldman Sachs, è stato capo economista dell’Oman Investment Fund. Attualmente, oltre ad animare il canale YouTube Inglorious Globastards con Alberto Forchielli, è partner di Nextperience una società di consulenza finanziaria e di Golden Eagle Capital Advisory una boutique di investimenti basata a New York.
Nel libro scrivete esplicitamente che la “libertà individuale è estranea alla cultura cinese”, perché?
La libertà è estranea a parecchie culture che non sono state permeate dall’Illuminismo. In Occidente la consideriamo un valore universale: nella Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti fu scritto “Riteniamo che queste verità siano evidenti (selfevident), che tutti gli uomini sono creati uguali, che sono dotati dal loro Creatore di alcuni diritti inalienabili, che tra questi ci sono la Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità”.
Questa aspirazione alla libertà perché diritto inalienabile in altre culture, che affondano le proprie radici, ad esempio, nella religione islamica o nel confucianesimo, non è presente. Individui imbevuti di altre culture spesso anelano ad una società e ad un mondo ideale. Costi quel che costi, anche se implica una sottomissione a una autorità. Il caso della Cina è quello della dottrina confuciana, che esalto l’assoggettamento nei confronti dell’autorità. Vale all’interno delle famiglie tra padre e figlio o tra fratello maggiore e fratelli minori, così come nel rapporto con lo Stato; quindi è un percolato culturale perfettamente funzionale all’ideologia autoritaria e al potere tirannica esercitato dal Partito Comunista Cinese. Al cinese medio importa poco l’aspirazione alla libertà, men che meno quella di criticare l’autorità fintantoché il governo assicura il soddisfacimento dei bisogni materiali più impellenti, cibo, sicurezza, abitazione. In un paese come la Cina, devastato per lunghi periodi da carestie e conflitti feroci queste sicurezze sono state spesso un miraggio.
Il tono del libro, dal titolo all’ultimo riga, è molto duro. Questa scelta stilistica deriva dalla convinzione che ci sia scarsa consapevolezza del pericolo che la Cina rappresenta per l’Occidente?
Per un lungo periodo si è pensato che i sempre più stretti rapporti economici, il commercio, la libera impresa, l’iniziativa privata e la partecipazione a un sistema di libero scambio mondiale avrebbero reso la Cina un paese più simile al modello Occidentale. Si prefiguravano riforme istituzionali in senso democratico, che avrebbero pian piano rimosso la crosta di autoritarismo che impediva la manifestazione del dissenso. Si prefigurava che un’opposizione politica sarebbe stata tollerata fino al punto da indire elezioni libere con la partecipazione di più partiti. Ci si illudeva che che si sarebbe riproposta la dinamica con cui il Giappone e la Corea erano diventate delle democrazie di stampo sostanzialmente occidentale.
Non sembra che questa strategia abbia più di tanto funzionato…
La realtà è che la Cina, quindi il PCC, non aveva alcuna voglia di intraprendere un percorso di questo tipo. Il Partito Comunista per sua natura è abbarbicato al potere assoluto. Uno dei traumi maggiori che hanno subìto i dirigenti comunisti cinesi è stato il crollo dell’Unione Sovietica. Hanno sempre rifiutato la logica della democratizzazione ottenuta attraverso lo sviluppo. Tuttavia, questa strategia è stata inseguita da quasi tutte le amministrazioni americane, da Nixon a Obama. Ma più la Cina cresceva economicamente, più il Partito Comunista diventava un interlocutore arrogante, con ambizioni di supremazia globale. Con Xi Jinping sono usciti dall’ambiguità in modo esplicito: l’unico obiettivo è diventare la prima nazione al mondo, in termini di potenza economica e militare, perché quello è il posto che secondo i dirigenti del PCC la Cina ricopre nella Storia.
Molti ritengono che l’UE dovrebbe adottare una postura meno rigida nei confronti della Cina, anche per avere una posizione più autonoma dagli Stati Uniti. Che ne pensa?
Non è prevalentemente un discorso di dazi, come sembra essere per gli Stati Uniti. L’Europa si trova in mezzo al guado perché ha intessuto rapporti economici sempre più stretti per tramite delle imprese, soprattutto tedesche a dire il vero. Parliamo del settore automobilistico e del lusso, ma anche di Airbus e macchinari industriali. Non quisquilie. C’è anche la consapevolezza che lo sviluppo cinese sia andato a detrimento di quello europeo, con annesso il furto di tecnologie, questo è uno degli altri elementi sul piatto della bilancia.
Qualcuno potrebbe obiettare che questa sia la conseguenza delle ‘delocalizzazioni selvagge’…
Non è questo il punto. Le fabbriche sono state delocalizzate anche in Romania, in Messico e in tantissimi altri paesi. Ma non è che rumeni o i messicani abbiano rubato la tecnologia agli europei o agli americani e si siano messi a fare concorrenza utilizzando i brevetti rubati o infischiandosene dei marchi registrati. Siamo in presenza di un attacco deliberato di estrema gravità. I governi hanno colpevolmente, in alcuni casi intenzionalmente, sottovalutato la questione, mentre le imprese che hanno subìto un danno sono di fatto sotto ricatto avendo ancora le fabbriche nel Paese. Non hanno la forza di opporsi al regime cinese, né la possibilità concreta di andarsene.
Ma è possibile che nessuno veda i pericoli di vincolarsi troppo alla Cina, così come è stato fatto in passato con la Russia?
Infatti, la lobby dell’industria cinese è molto forte sia in Germania sia in Francia, come testimoniano i recenti viaggi di Scholz e Macron. Si è creata così un’enorme dipendenza dalla Cina di oggetti di consumo, ma anche di semilavorati e materie prime come litio, terre rare o antimonio E su questo c’è una bella dose di ipocrisia europea.
Cosa intende?
Le materie prime di cui la Cina è il maggior produttore e ha un quasi monopolio nella raffinazione sono la causa di un fortissimo inquinamento nelle province remote cinesi. Ma essendo lontane e non esitendo un movimento ambientalista nessuno se ne cura. Né in Cina né in Occidente. E così in Europa tutti sono felici di definirsi verdi. In realtà sono solo minkio-ambientalisti, come li definiamo nel libro.
Quindi valuta positivamente la scelta che sembra imminente del governo di non rinnovare il memorandum sulla Belt and Road Initiative?
In teoria sì, in pratica stiamo parlando di una questione del tutto irrilevante. Sicuramente in realtà è del tutto irrilevante. L’accordo era scombiccherato sin dall’inizio e non ha portato alcun effetto di rilievo. Grazie a quell’accordo, la Cina contava di spaccare il fronte europeo, creando una frattura in cui poi inserirsi diplomaticamente e politicamente. Tuttavia, non ha attirato nessuno dopo l’Italia del disastroso governo Conte gialloverde. Alcune parti non hanno dato frutti, altre sono rimaste semplicemente lettera morta. Questo accordo è uno zombie che si aggira per i Palazzi romani, ma agita soltanto qualche editorialista.
Lei e Mengoli vi concentrate per un intero capitolo sullo spionaggio, a tratti fantascientifico, della Cina nei confronti dell’Occidente, può fare un esempio specifico?
Il caso secondo me più clamoroso, quasi fantascientifico, è quello Charles Lieber, che era il direttore del dipartimento di chimica dell’Università di Harvard. Parliamo di una delle istituzioni accademiche più prestigiose del mondo. Lieber era considerato universalmente un luminare nonché un sicuro premio Nobel. Un bel giorno, invece, viene arrestato FBI per aver nascosto la sua affiliazione con l’Università di tecnologia di Wuhan e la sua partecipazione al programma cinese dei Mille Talenti, con un emolumento mensile di 50mila dollari e vari altri bonus. Lieber è il massimo esperto di nanofili, filamenti da un miliardesimo di metro di spessore che, tra le altre cose, servono a collegare organismi biologici con apparati elettronici. È il modo in cui si creano, usando termini fantascientifici, i cyborg. Alcune applicazioni sono già realtà, soprattutto in ambito medico.
In che modo questa collaborazione accademica costituiva un problema per gli Stati Uniti?
In combinazione con l’intelligenza artificiale, può avere risvolti imponenti in ambito militare. Si pensi a cosa potrebbe fare il pilota di un aereo militare in grado di padroneggiare tutte le informazioni autonomamente, quindi senza consultare schermi o computer, a cui basti pensare di sparare un missile per lanciarlo effettivamente. Senza bisogno di premere un bottone. Non parliamo di qualcosa che può accadere oggi o domani, ma in futuro questo genere di tecnologie potrà avere risvolti inimmaginabili.