Scaglia è libero, ma un anno di carcere preventivo si poteva evitare

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Scaglia è libero, ma un anno di carcere preventivo si poteva evitare

25 Febbraio 2011

Le accuse di frode fiscale e associazione per delinquere gli sono costate un anno di carcere preventivo. Ma ora è libero e attraverso un comunicato dice che non avrebbe mai immaginato un "percorso così travagliato, lungo e drammatico". Silvio Scaglia, ex amministratore delegato di Fastweb indagato per frode fiscale e associazione per delinquere, conta sul processo in corso per dimostrare la sua innocenza e sottolinea il  profondo rispetto per la giustizia. Ora, ciò che rimane da chiedersi è il perché sia stato sottoposto agli arresti per tutto questo tempo.

"Devono ritenersi scemate le esigenze cautelari poste alla base dell’ordinanza di arresto". E’ quanto scrivono i giudici della I sezione penale di Roma nelle motivazioni con le quali revocano lo stato di fermo all’ex ad di Fastweb. In breve, sono stati esclusi categoricamente il pericolo di reiterazione del reato, d’inquinamento delle prove e quello di fuga. Ovvero, i tre fattori che possono mettere un pm nelle condizioni di richiedere al giudice la custodia cautelare.

Silvio Scaglia, lo ricordiamo, era agli arresti domiciliari in Valle d’Aosta dallo scorso 17 maggio dopo aver trascorso anche un periodo in carcere. La carcerazione cautelare prevede che una persona, pur in assenza di una condanna definitiva, possa essere privata della libertà in quanto sussistono il pericolo di fuga, di reiterazione del reato o di inquinamento delle prove. E’, insomma, una misura molto dura che viene adottata in casi particolarmente gravi, come quelli di mafia ma che nel caso specifico hanno riguardato anche il manager.

Così,  il caso Fastweb fa riemerge il problema del funzionamento della giustizia ed è la moglie dell’ex ad a sottolinearlo quando commenta: "Quella che abbiamo vissuto è una situazione kafkiana, completamente irreale". Così ha descritto gli ultimi dodici mesi che sono trascorsi per la sua famiglia in attesa che l’indagine facesse emergere qualche prova a carico del marito. "Mio marito è rientrato dall’estero per farsi giudicare ed è stato recluso per un anno, tra carcere e arresti domiciliari. Solo in Italia capitano queste cose".

Ma a stretto giro è arrivato anche il commento del senatore pidiellino Filippo Berselli, presidente della Commissione Giustizia a Palazzo Madama, che più volte ha sollevato il problema di un corto circuito nel sistema giudiziario. "E’ una cosa vergognosa: in Italia abbiamo un principio costituzionale sulla cosiddetta presunzione di non colpevolezza e, invece, qui siamo di fronte ad un caso di vera e propria presunzione di colpevolezza". "Se noi mettessimo in carcere solo quelli che si presume abbiano commesso reati gravissimi – continua – e sono colpiti da elementi di prova consistenti non ci sarebbero problemi. Ma gli altri potrebbero essere tranquillamente messi agli arresti domiciliari". E le carceri scoppiano: nel nostro Paese, spiega il senatore, ci sono molti detenuti in attesa di giudizio, altri condannati in primo grado e non ancora in appello e, ancora, condannati in appello e non ancora in Cassazione.

Il sistema, insomma, non funziona. Come è successo nel caso di Scaglia, le persone finiscono in galera per una sorta di anticipazione della pena. Il ragionamento di Berselli è questo: dato che le condanne in via definitiva sono difficili da infliggere perché la lentezza della giustizia fa cadere la maggior parte dei reati in prescrizione, intanto l’imputato viene tenuto in stato di fermo. Un sistema degno di un paese civile? La risposta di Berselli non lascia spazio a fraintendimenti: "No".

A questo punto c’è da porsi un’ulteriore domanda. Qualora il processo a carico di Silvio Scaglia dovesse risolversi con un’assoluzione dell’imputato (nel caso di condanna, dalla pena stabilita verrebbe "detratto" il periodo già scontato con la carcerazione preventiva) chi pagherà per l’errore commesso? Il magistrato che sbaglia verrà punito o continuerà a fare la sua carriera indisturbato? Ad oggi, purtroppo, gli errori della magistratura li pagano solo i cittadini.