Scatta la missione europea, giallo sul gommone
23 Giugno 2015
Spari su un barcone al largo della Libia fanno un morto e un ferito, nel giorno in cui l’Europa lancia ufficialmente la missione navale contro i trafficanti di morte. Testimoni dicono che a sparare è stata la guardia costiera libica ma quest’ultima nega con forza le accuse. Qualcosa è successo, indagano le procure, ma non sarà facile decifrare la notizia, se sia stato o meno un messaggio in codice lanciato non si capisce di preciso da chi e a quale destinatario.
Il tutto avviene in un momento delicato come l’inizio della missione europea e nel contesto in rapida evoluzione del quadro complessivo: secondo il quotidiano La Stampa il numero dei barconi della morte distrutti sta aumentando (400) e il flusso degli arrivi in Italia a giugno si è dimezzato; sembra quindi prendere forma il piano spinto dall’Italia al vertice straordinario della Ue di due mesi fa.
Completata la prima fase di ricognizione, bisognerà intensificare la distruzione dei barconi visto che gli organizzatori della tratta mettono in conto di perdere i natanti e certo non avranno troppe difficoltà a procurarsene altri in Paesi vicini come Egitto e Tunisia. Subito dopo, se e quando le Nazioni Unite daranno l’ok per intervenire direttamente sulle coste libiche, bisognerà avere ben chiari quali sono gli obiettivi da colpire.
Non si tratta solo di un discorso prettamente militare, fino adesso la nostra Marina non è stata impegnata in missioni antipirateria che prevedessero di arrivare fino ai “sorgitori”, come dicono gli esperti, alle centrali del traffico di uomini nel caso della Libia. Non siamo entrati nei porti, non abbiamo intercettato barche pirata (le nostre navi sono state spesso attaccate), mentre altri Paesi come Francia e Stati Uniti lo fanno.
E’ un discorso che ancora di più chiamerà in campo la politica. A differenza di chi alza muri in Ungheria, dei francesi che respingono, degli austriaci e degli svizzeri che rimandano indietro gli immigrati in treno, l’Italia non abdica al suo ruolo di Paese solidale, con pericolose operazioni in alto mare per il soccorso dei migranti. Ma che faremo una volta davanti alle coste della Libia? Porteremo i migranti in Italia o li riaccompagneremo da dove sono partiti? Una volta messi gli scarponi sulla sabbia ci resteremo? Occuperemo i porti mettendo quelle aree in sicurezza?
Sono domande dalle quali non si può sfuggire e soprattutto non può farlo chi ci rappresenta in Parlamento. Che farà Matteo Salvini dopo mesi di propaganda mediatica sulla questione migratoria, continuerà a ripetere di essere contrario a qualsiasi intervento in Libia, tema sul quale, secondo lui, “il Governo parla a vanvera”? Se dovesse essere necessario, la Lega andrà fino in fondo oppure, sentendo odore di interesse nazionale, staccherà la spina rifugiandosi ancora una volta tra Pontida e l’agognato Salento?