Scegliere di farsi una pensione integrativa è ancora una cosa da élite
30 Maggio 2011
La previdenza complementare – come viene rappresentata nel Rapporto Covip per il 2010 – è un fenomeno importante ma, tutto sommato, elitario. Alla fine del 2010 erano iscritti alle forme pensionistiche private 5,3 milioni di lavoratori: 2 milioni ai fondi negoziali, 850mila ai fondi aperti, 670mila ai fondi preesistenti (quelli istituiti prima delle riforme a partire dal 1993).
Il dato più sorprendente è quello dei Pip (piani individuali pensionistici, in sostanza polizze vita standard): quelli definiti "nuovi" (quelli adeguati alle nuove disposizioni di cui al dlgs n.252 del 2005) erano 1,2 milioni a cui ancora vanno aggiunti 610mila "vecchi" (dei quali è in corso l’aggiornamento). I Pip, sono operanti dal 2001, funzionano ad adesione individuale, hanno dei costi di gestione superiori, per almeno tre volte, a quelli delle altre forme, eppure sono in crescita costante ed ininterrotta (+29% nel 2010 rispetto al 2009, con un 30,6% in più di iscritti pari a 273mila nuove unità), a prova della domanda di previdenza complementare esistente nella società, non soddisfatta dalle istituzioni di carattere collettivo che dovrebbero essere le protagoniste del settore. Le forme nelle loro diverse tipologie erano, a fine 2010, 559 (38 negoziali, 69 aperti – quelli istituiti dai soggetti di mercato -, 375 preesistenti, 76 Pip "nuovi"). A questo complesso apparato vanno aggiunti gli iscritti (41mila) al Fondinps, il fondo residuale che raccoglie i flussi di tfr dei lavoratori silenti per i quali gli accordi collettivi non prevedono una forma pensionistica di riferimento. Le adesioni presentavano degli andamenti poco uniformi a seconda dei settori. La maggior parte delle adesioni proveniva dai lavoratori dipendenti del settore privato (3,8 milioni di unità): in questo ambito 1,9 milioni erano iscritti ai fondi negoziali. Sempre nel 2010, i lavoratori autonomi erano circa 1,3 milioni, la quasi totalità aderiva ai fondi aperti e ai Pip (le iniziative di carattere collettivo hanno sempre avuto poco successo).
Il tasso di adesione a fine 2010, calcolato come rapporto tra iscritti ed occupati, era pari al 28% per i lavoratori dipendenti del settore privato e al 23% cento del lavoro autonomo. Ha aderito alla previdenza complementare solo il 4% dei dipendenti pubblici (poco più di 140mila su 3,5 milioni di occupati), grazie soprattutto al fondo Espero del settore scuola. Questo fondo è praticamente il solo caso del settore pubblico, fa riferimento ad una platea di potenziali aderenti pari a 1,2 milioni di lavoratori, ma il tasso di adesione era pari al 7% degli aventi diritto. E’, poi, il caso di far notare che tra i sottoscrittori di Pip ‘vecchi’ e ‘nuovi’ più di 900mila erano lavoratori dipendenti. Ad ulteriore prova di una domanda di previdenza complementare che non riceve una risposta di tipo collettivo.
Che si tratti di un’esperienza elitaria è dimostrato anche dall’età degli aderenti: solo il 17% aveva meno di 35 anni. Il tasso di partecipazione era pari al 26,2% (molto vicina alla media complessiva del 26,4%) nella fascia d’età tra 35 e 44 anni. Il tasso saliva al 34% per i lavoratori tra i 45 e i 64 anni. Solo dopo i 65 anni la percentuale tornava a scendere intorno al 20%. Anche l’età media degli iscritti era pari a 44 anni rispetto ai 41 degli occupati. Il tasso di partecipazione era del 28% per gli uomini e del 24% per le donne. Gli iscritti di sesso maschile rappresentavano il 65% del totale degli aderenti. Le regioni settentrionali avevano il 59% degli aderenti rispetto al dato del 54% dell’occupazione; in quelle centrali il 21% (in linea con il tasso di occupazione); in quelle meridionali ed insulari il 20% contro il 26% degli occupati. Alla fine del 2010 le risorse destinate alle prestazioni avevano superato 83 miliardi, con un incremento di 9,4 miliardi (+13%) rispetto al 2009. Ben 42 miliardi erano detenuti – per ovvii motivi – dalle forme preesistenti. Il patrimonio dei fondi negoziali era pari a 22,4 miliardi, quelli aperti a 7,5 miliardi. Le risorse dei Pip nuovi a 5,2 miliardi, contro 6 miliardi per i Pip vecchi.
Il flusso di tfr destinato alle forme pensionistiche complementari nel 2010 è stato pari a 5,1 miliardi. Le uscite per prestazioni sono risultate pari a circa 4,6 miliardi. Il tfr è la fonte principale di finanziamento della previdenza complementare. E’ noto che il tfr ha un rendimento ope legis, perciò garantito. Tale rendimento è in pratica la pietra di paragone rispetto alla convenienza ad investire i flussi del trattamento di fine rapporto. Tranne che nell’anno nero del 2008 (i fondi negoziali hanno avuto un performance del -6,3%, quelli aperti del -14%, i Pip un rendimento oscillante tra il +3,5% e il -24,9% a seconda delle diverse tipologie) il rendimento delle forme di previdenza complementare è stato superiore alla rivalutazione del tfr. Già nel 2009 e nel 2010 era tornato positivo, rispettivamente del +8,5% e del 3% dei fondi negoziali, dell’11,35% e del 4,2% dei fondi aperti e di un incremento ancor più elevato per i Pip.