Scudo spaziale, Iran e missili: la partita a scacchi tra Russia e Usa
05 Marzo 2009
Obama chiede aiuto a Mosca per fermare il nucleare iraniano rinunciando in cambio allo schieramento del sistema antimissile nei paesi dell’est. La notizia, sparata in prima dal puntualissimo NYT, è stata rilanciata in tutto il mondo. Il presidente tenta così la carta del linkage e indossa i panni di Nixon riscoprendo un attrezzo mai dismesso della politica estera americana.
Nonostante le smentite ufficiali e le puntualizzazioni dello stesso Obama, questa sembra veramente essere l’offerta recapitata al Cremlino dai messi della Casa Bianca: stop al progetto di scudo antimissile nell’est Europa in cambio di una grossa mano sull’Iran. Ma, per il momento, i segnali provenienti dal Cremlino sono a dir poco tiepidi. La Russia non sembra disposta a seguire la nuova amministrazione nel suo esercizio di legare le due questioni, scudo antimissile e riarmo iraniano. Anche se, a prima vista, l’equazione potrebbe anche starci.
Per un Paese come la Russia, abituato antropologicamente a ragionare da grande potenza, esattamente come fanno gli Stati Uniti, ogni posta ha un suo prezzo. Scrupolosamente calcolato in base a quanto la controparte è effettivamente disposta a concedere. Se manca la simmetria tra quanto si cede e quanto si ottiene, qualcosa non torna. M se la simmetria c’è, l’affare si può fare. La crisi dei missili a Cuba lo dimostrò chiaramente. Mosca ritirò gli SS-4 da Cuba soltanto quando fu chiaro che gli americani avrebbero fatto altrettanto con gli Jupiter schierati l’anno prima in Italia e Turchia. Nella vita di tutti i giorni si chiama baratto, in strategia negoziazione. L’obiettivo, nella fattispecie, il mantenimento dell’equilibrio.
Mosca non vuole lo scudo in Polonia e Repubblica Ceca. Lo giudica destabilizzante. Ed ha valide ragioni per pensarla così, visto che a regime lo scudo potrebbe mettere a repentaglio la capacità di secondo colpo del proprio arsenale. Un’eventualità tecnicamente possibile se si considera che lo scudo dell’est Europa è solo un segmento della più ampia difesa antimissile americana, cresciuta a dismisura in questi anni, alla quale va inoltre aggiunta anche la capacità offensiva del deterrente nucleare basata su 450 missili intercontinentali Minuteman III.
La Russia non ha una forza analoga ed il suo potere dissuasivo si basa esclusivamente sulla credibilità della rappresaglia. Lo scudo in Europa, assieme a tutto il resto, scalfisce questa credibilità e fa vacillare la certezza strategica, e di status, data ancora oggi alla Russia dalla parità con gli USA. Dunque, se gli Stati Uniti decidessero di fermare il progetto, Mosca non ne potrebbe che trarre benefici. Ma dietro la teoria e la perfezione delle classiche equazioni strategiche, la collaudata scuola di realismo del Cremlino sembra scorgere altre opportunità.
Tolta l’apparenza, infatti, l’esercizio di linkage obamiano potrebbe aprire alla Russia inattesi spazi di manovra anche su altre questioni. La Russia è consapevole che l’incalzare del tempo sul nucleare iraniano sta mettendo gli americani all’angolo. Le proposte di Obama non hanno fatto altro che accentuare il dubbio. Il dubbio, cioè, che la posizione americana sia debole e che Washington sia pronta a concedere sull’Iran molto di più del generico stop ad un progetto, quello dello scudo, ancora sulla carta. Un’inaspettata finestra di opportunità.
E così qualcuno al Cremlino potrebbe aver pensato di ottenere qualcosa in più anche sul Medio Oriente e sul Golfo, dove in questi mesi si sta giocando una partita a tutto campo che coinvolge non solo l’Iran, ma anche la Siria, il Libano, Israele e l’Arabia Saudita. In pratica, una sorta di doppio linkage.
La Russia è impegnata a ristabilire la propria influenza in tutta la regione dopo gli anni dell’egemonia americana culminata nel primo quadriennio “bushiano”, tutto all’insegna dell’unilateralismo. L’Iran, con il quale sono in ballo forniture militari in svariati settori, compresa l’assistenza al programma nucleare, è il pilastro più solido di questo rinnovato sistema di influenza. Anzi, considerato che con la Siria i rapporti sono alterni, l’Iran è oggi l’unico vero partner che Mosca ha nella regione. Tutto il resto, o quasi, gravita nell’orbita americana: dall’Iraq alla penisola arabica, ad Israele.
Il sacrificio dell’Iran porterebbe allora un danno enorme. Nel “ni” alle offerte di Obama c’è impressa a chiare lettere la controfferta di Mosca: l’apertura di un dialogo con la nuova amministrazione che abbia come oggetto l’equilibrio strategico, ma anche una risistemazione complessiva del Medio Oriente che porti al rientro della Russia nei giochi regionali. Da tempo, Mosca si sta muovendo in questa direzione.
In Libano ha approfittato delle incertezze delle potenze occidentali riguardo all’atteggiamento da tenere verso il Governo Siniora, per accreditarsi come partner più serio e affidabile, pronto a garantire alle LAF (Lebanese Armed Forces) quel supporto che i paesi occidentali sono restii a concedere. Un approccio che già lo scorso dicembre ha portato alla fornitura al Libano di 10 aerei MiG, i primi aerei dell’Aviazione in grado di compiere missioni d’attacco. Ed altre commesse potrebbero seguire. Ma l’attivismo russo ha interessato anche l’Arabia Saudita, dove le aziende guidate dal colosso di stato Rosoboronexport stanno facendo a spallate per inserirsi e scalzare le posizioni tradizionalmente detenute da aziende francesi, americane e britanniche, e persino lo stesso Iraq, dove, sfruttando il grimaldello dei contratti petroliferi, si sta cercando di rientrare anche con le commesse militari.
Ecco allora che il duo Putin/Medvedev sembra aver colto al balzo la palla servita da Obama per giocare a tutto campo una partita che ha sì come posta principale l’equilibrio strategico, ma che potrebbe avere interessanti risvolti anche sullo scacchiere mediorientale.