Se c’è una certezza dopo le Rivoluzioni arabe è la minaccia del terrorismo

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Se c’è una certezza dopo le Rivoluzioni arabe è la minaccia del terrorismo

18 Maggio 2011

La complessa situazione che si sta delineando in Medio Oriente in seguito alle proteste degli ultimi mesi sta ponendo la comunità internazionale davanti ad uno scenario politico quanto mai incerto ed instabile che potrebbe rafforzare l’azione dei gruppi terroristici presenti in alcuni Paesi, la cui importanza è fondamentale per la sicurezza e la stabilità della regione. Il primo di questi è l’Egitto, dove operano due gruppi di matrice fondamentalista radicale quali la “Gama’a al–Islamiyya” ed “Al–Jihad”.

Ispirati al pensiero di Sayyid Qutb, un teologo che teorizzava come i principi della “Sharia” dovevano costituire la base dell’organizzazione della società e se necessario essere imposti attraverso la “jihad”, questi movimenti traggono però origine politicamente dai “Fratelli Musulmani”, un’organizzazione fondata nel 1928 da Hassan al–Banna che proponeva di abbattere lo Stato secolare per sostituirlo con uno fondato sui precetti islamici. Il rapporto di questo gruppo con il potere è stato comunque sempre assai difficile. Ostili alla Monarchia, i “Fratelli Musulmani” pensarono che i “Giovani Ufficiali” una volta saliti al potere avrebbero condiviso alcune delle loro iniziative ma al contrario il nuovo regime militare represse severamente la loro attività al pari di quanto fece in seguito Nasser.

Con l’avvento al potere di Sadat, il governo nei loro confronti assunse prima un atteggiamento più tollerante, in quanto con la svolta moderata operata dal regime egiziano ed il conseguente allontanamento dall’Unione Sovietica l’azione dei “Fratelli Musulmani” poteva controbilanciare quello delle forze marxiste e nasseriane, per poi tornare dalla fine degli anni Settanta a perseguire invece una severa attività di repressione. Ed è in questo contesto che nel 1973 nelle regioni dell’Alto Nilo sorse la “Gam’a al–Islamiyya”, un gruppo il cui obiettivo era di rovesciare il governo egiziano e che raggiunse l’apice della popolarità dopo gli accordi di Camp David, arrivando il suo leader Omar Abdel al–Rahman ad emettere una “fatwa” con cui giustificava l’assassinio del Presidente Sadat colpevole proprio di aver firmato la pace con Israele.

A partire dagli anni Ottanta il movimento si è reso responsabile di diversi attentati contro personalità politiche egiziane nonché nei confronti di turisti stranieri, cosa questa che però gli ha fatto perdere numerosi appoggi tra la popolazione data l’importanza del turismo per l’economia del Paese. Negli ultimi anni la “Gam’a al–Islamiyya” appare tuttavia essersi indebolita e divisa tra una fazione più favorevole a raggiungere un compromesso con il regime per porre fine alla lotta armata ed un’altra attestata su posizioni più intransigenti e contraria ad ogni accordo con il governo.

L’altro gruppo fondamentalista attivo in Egitto, l’ “Al–Jihad”, risulta invece direttamente collegato alla rete terroristica di “Al–Qaeda” tanto che il suo leader Ayman al-Zawahiri potrebbe, a detta di alcuni analisti, succedere alla testa del network dopo l’uccisione di Osama Bin Laden. Attivo nei Balcani durante la guerra civile bosniaca degli anni Novanta e poi presente in Sudan ed in Afghanistan, l’ “Al–Jihad” si è finanziato soprattutto attraverso contributi provenienti dalle organizzazioni di carità saudite e dalla stessa famiglia Bin Laden. Ma il Paese dove più evidente risulta l’influenza dei movimenti terroristici sul quadro politico è sicuramente il Libano. Nel “Paese dei Cedri” opera “Hezbollah”, gruppo di impronta sciita radicale nato nel 1982 dall’unione di diverse fazioni armate ostili all’intervento di Israele in Libano.

In principio indirizzata principalmente contro le forze armate israeliane presenti nel Libano del sud ed i suoi alleati dell’ “Esercito del Libano del Sud”, “Hezbollah” in seguito ha preso di mira anche obiettivi occidentali portando a termine negli anni Ottanta e Novanta una serie di attentati tra i quali i più importanti sono stati l’attacco compiuto per mezzo di un attentatore suicida contro l’Ambasciata degli Stati Uniti a Beirut nel 1983 e la distruzione della sede diplomatica israeliana a Buenos Aires nel 1992. Ostile ad Israele ed all’occidente, favorevole all’instaurazione di uno Stato islamico in Libano, “Hezbollah” riceve aiuti ed appoggio politico soprattutto dall’Iran, di cui è diventato il principale referente nell’area, ma anche dalla Siria, che si è servita del movimento per manovrare la scena politica libanese.

Non va dimenticato come il gruppo svolge un importante ruolo anche dal punto di vista politico, gestisce una serie di servizi sociali e possiede infine l’emittente televisiva “Al – Manar” (“Il faro”) che utilizza come strumento di propaganda delle sue attività. La sua forza si è ulteriormente consolidata dopo gli scontri avvenuti a Beirut nel Maggio 2008 e conclusisi con un accordo in base al quale al movimento sono stati attribuiti un terzo dei Ministri nel governo libanese ed il diritto di veto sulle decisioni del Parlamento. Non va dimenticato poi come nel territorio libanese sia presente anche “Asbat al–Ansar”, una formazione estremista sunnita legata alla rete di “Al–Qaeda” che si propone di rovesciare il governo di Beirut ed eliminare le influenze occidentali nel Paese. Vicina alle teorie del salafismo, sostiene il ritorno al califfato sotto la guida di una sola autorità chiamata il “Principe dei Credenti”. Ed un analogo radicamento di gruppi di tendenza fondamentalista può osservarsi anche all’interno dei Territori Palestinesi.

Di questi il più importante è sicuramente “Hamas”, un movimento sorto al momento dell’esplosione della “Prima Intifada” nel 1987 e caratterizzatosi subito per la sua radicalità e la contrarietà a qualsiasi compromesso od accordo di pace con Israele. Secondo quanto afferma infatti la sua Carta costitutiva, l’obiettivo di “Hamas” è quello di cancellare Israele e sostituirlo con un’entità statale islamica ed anche se diversi esponenti del movimento hanno dichiarato che il conflitto con Israele è “politico” e non religioso, le dichiarazioni ed i toni usati dalla sua leadership riflettono comunque una visione antisemita del problema. La struttura del gruppo è assai articolata e si divide in un’ala politica ed in una militare. La prima è incaricata di gestire tutta una rete di servizi sociali che l’Autorità Nazionale Palestinese non è stata progressivamente più in grado di assicurare, la seconda invece, tramite il suo braccio armato formato dalle le “Brigate Ezzedine al–Kassam” è responsabile di numerosi attacchi terroristici compiuti in Israele. Dopo un tentativo promosso dal Presidente dell’ANP Abu Mazen di formare un governo di unità nazionale, nel Giugno 2007 le forze di “Hamas” hanno con un colpo di stato assunto il pieno controllo di Gaza estromettendo dall’amministrazione gli esponenti fedeli ad “Al–Fatah”, un gesto a cui il governo palestinese ha risposto dichiarando fuorilegge il movimento.

Recentemente però, grazie anche alla mediazione del nuovo governo militare egiziano, le due fazioni sembrano essersi riavvicinate siglando un accordo per cui potrebbero dar vita ad un governo unitario di transizione in attesa di nuove elezioni. Attestata sulle medesime posizioni appare anche la “Jihad Islamica Palestinese”, fondata negli anni Ottanta da un gruppo di studenti iscritti all’Università di Zagazig delusi dalla moderazione dei “Fratelli Musulmani” ed ispirati dalla “Jihad Islamica” egiziana. Il gruppo, collocato su una linea radicale e con l’obiettivo di creare uno Stato islamico palestinese, ha un programma che unisce il fanatismo religioso e l’estremismo nazionalista ed è di tendenza filo – iraniana. Nonostante le dimensioni assai ridotte, la formazione dispone comunque di un suo braccio armato, i “Guerriglieri di Al–Quds”, resosi responsabile di numerosi attentati compiuti in Israele.