Se continua così, Betlemme diventerà una città santa senza cristiani
15 Maggio 2009
Atterrato in Giordania per la prima tappa del viaggio in Terra Santa, Benedetto XVI si è subito rivolto ai cristiani in Medio Oriente: “Che il coraggio di Cristo nostro pastore vi ispiri e vi sostenga quotidianamente nei vostri sforzi di dare testimonianza della fede cristiana e di mantenere la presenza della Chiesa in queste antiche terre”. Parole importanti, passate poi in secondo piano a fronte dei più delicati discorsi rivolti al mondo ebraico e musulmano.
Ma la questione dei cristiani in Medio Oriente – e in particolare nei territori palestinesi – ha assunto negli ultimi anni lo status di una vera e propria emergenza: da qui le parole del Papa, volte ad infondere coraggio ad una minoranza sempre più perseguitata e votata all’emigrazione.
Di questo tema – in un articolo per il think tank americano Hudson Institute – ha scritto nei giorni scorsi Khaled Abu Toameh, corrispondente dalla West Bank e da Gaza per il quotidiano israeliano “Jerusalem Post”. Giornalista investigativo, in passato Toameh ha denunciato i finanziamenti illeciti all’ala armata di Fatah, così come la corruzione finanziaria interna all’Autorità Palestinese (la principale causa della vittoria elettorale di Hamas). Il suo punto di vista sulla realtà dei cristiani di Betlemme è particolarmente interessante: “Come giornalista musulmano – scrive – sono sempre spaventato quando sento parlare i cristiani della West Bank e di Gerusalemme delle sfide, delle minacce e degli assalti che fronteggiano ormai da anni”.
Nell’articolo – intitolato “I cristiani tormentati di Betlemme” – Toameh si sofferma su queste minacce. Sotto l’Autorità Palestinese – che pur non avendo “una politica ufficiale di persecuzione dei cristiani” non fa nulla per “garantirne stabilità e sicurezza” – molte famiglie hanno subito il furto delle proprie terre, “per mezzo di violenza o falsi documenti”. Nelle stesse zone (Betlemme, Bet Sahour, Bet Jalla) molte donne lamentano violenze verbali e sessuali da parte di maschi musulmani. Nel corso degli ultimi anni, poi, alcuni imprenditori – costretti a finanziare le gang locali per garantirsi protezione – hanno dovuto chiudere. Ma ancora peggiore, se vogliamo, è la discriminazione a cui i cristiani sono soggetti nel settore pubblico: “Dalla fondazione dell’Autorità Palestinese – scrive il giornalista – neanche un singolo cristiano ha mai ottenuto un posto di rilievo”.
Se ci spostiamo nella Striscia di Gaza, controllata da Hamas, la situazione non cambia. A peggiorare la situazione, per i 3000 cristiani che vivono nella Striscia, si aggiunge la difficoltà di parlare apertamente. In un articolo pubblicato dal settimanale “Time”, Tim Mcgirk ha intervistato un cristiano della Striscia secondo il quale “Hamas ci lascia soli, ma ci sono molti abitanti di Gaza che sono ancora più fanatici (dei membri di Hamas, ndr) e ci odiano”.
Il testimone ricorda poi l’assassinio di un libraio cristiano, avvenuto nel 2007, così come il più recente attentato alla biblioteca della locale YMCA: Hamas ha condannato gli attacchi, ma non ha mosso un dito per cercare i colpevoli. Ulteriore minaccia ai cristiani, infine, è l’accusa di tentata conversione ai danni dei residenti musulmani che pende sul capo di molti di loro.
Non sarà allora un caso se negli ultimi anni si è assistito ad una fuga dei cristiani dalla Terra Santa. Dietro al richiamo del Papa, infatti, ci sono numeri impressionanti: oggi i cristiani di Betlemme sono meno del 15 per cento della popolazione, contro il 70 per cento di cinquant’anni fa; secondo un rapporto delle Nazioni Unite del 2004, dal 2000 (in soli 4 anni) almeno 2000 cristiani hanno lasciato la città natale di Cristo, a fronte della rivolta palestinese e della dura repressione israeliana.
Su questo sfondo va letto un aneddoto rivelatore, raccontato da Toameh nel suo articolo: “Alla vigilia della visita di Benedetto XVI, un mercante cristiano mi ha detto scherzando: ‘La prossima volta che un Papa verrà in visita in Terra Santa, dovrà portarsi un suo prete con cui pregare in chiesa perché la maggior parte dei cristiani se ne sarà ormai andata’”.
A rendere la situazione dei cristiani ancor più drammatica, conclude Toameh, è la totale indifferenza della popolazione palestinese: “Per decenni, la delicata e complicata questione delle relazioni tra musulmani e cristiani in Terra Santa è stata trattata come un tabù”. Molti palestinesi fingono di non vedere, oppure attribuiscono l’esodo cristiano alle politiche israeliane: è certamente vero, commenta il giornalista, che “le misure di sicurezza israeliane nella West Bank hanno reso più difficili le condizioni di vita dei palestinesi, cristiani o musulmani che siano”, ma se questa fosse la sola causa dell’emigrazione cristiana “i territori palestinesi si starebbero svuotando tanto dei cristiani quanto dei musulmani”.
Più semplicemente, la verità è che “molti cristiani si sentono insicuri e intimiditi da quello che gli fanno i musulmani, e non solo dalla cattiva economia dell’area”: da qui la scelta di lasciare la Terra Santa a favore di Stati Uniti, Canada, Europa o America Latina, dove molti di loro hanno parenti e amici. Dando la colpa alle sole politiche israeliane, molti leader cristiani rischiano di “incoraggiare i responsabili a continuare sulla via delle minacce e degli assalti alle famiglie cristiane”.
E allora, forse, arriverà davvero il giorno in cui un Papa, visitando la Terra Santa, non troverà alcun cristiano a dargli il benvenuto.