Se critichi l’Islam sei razzista: il caso Amis
23 Novembre 2007
Da qualche giorno, in
Inghilterra, gli intellettuali non parlano d’altro: Martin Amis, che ha
criticato pesantemente gli aspetti più radicali dell’Islam, è razzista? Il
dibattito, che affonda le sue radici nelle accuse del professor Terry Eagleton,
ha invaso le pagine dei quotidiani. Contro Amis, Eagleton e l’irlandese Ronan
Bennett; con Amis, i vecchi amici Christopher Hitchens e Ian McEwan. Con questo
articolo cerchiamo di fare chiarezza in un dibattito che in Italia, sinora, è
giunto solo frammentariamente.
Settembre 2006, quinto
anniversario degli attentati di New York e Washington. Una domenica come tante,
l’Observer pubblica un saggio di Martin Amis – celebre romanziere
inglese conosciuto anche in Italia per “Cane Giallo” (Einaudi
2006), “Il treno della notte” (Einaudi 1997), “Money”
(Einaudi 1999) e “L’informazione” (Einaudi 2006) – intitolato
“The Age Of Horrorism”. Il compito dello scrittore è semplice:
mettere per iscritto idee, riflessioni e sentimenti cinque anni dopo l’11 settembre.
Il risultato delle sue fatiche è una summa di quanto Oriana Fallaci ha spiegato
agli italiani per anni: secondo Amis, l’Islam radicale ha vinto la sua
battaglia con l’Islam moderato e presto vincerà anche contro l’Occidente,
fiaccato dal relativismo culturale. La critica di Amis si spinge poi
all’oppressione delle donne, al soffocamento dei diritti umani, alla follia
degli attentai suicidi: un ritratto spietato, senza peli sulla lingua, dell’Islam
più totalitario e antidemocratico. Per chi ha letto la trilogia della Fallaci,
niente di trascendentale.
In Inghilterra,
intanto, passa un anno: siamo nell’ottobre 2007, un mese fa. Terry Eagleton –
intellettuale marxista di formazione cattolica, professore di Teoria della
Cultura all’Università di Manchester – manda alle stampe una nuova edizione di
un suo testo classico, “Ideology: An Introduction”. Tutto bene, se
non fosse che nell’introduzione al testo Eagleton spara a zero contro Martin
Amis – per altro suo collega all’Università di Manchester, dove il romanziere
insegna Scrittura Creativa –: secondo l’intellettuale marxista, dopo l’11
settembre Amis avrebbe abbandonato i valori del liberalismo in nome della
“cosiddetta guerra al terrore”. La colpa dello scrittore, secondo
Eagleton, sarebbe quella di scagliare dardi contro l’Islam anziché promuovere
la tolleranza, avvicinandosi così ai modi del British National Party. Sedici
anni prima, aggiunge Eagleton, Amis “avrebbe riconosciuto la follia e
l’ignoranza insita nel credere che l’autoritarismo e l’ingiustizia possano
assicurare la difesa della libertà”. Dalle critiche alle questioni
personali, il passo è breve: Eagleton se la prende con il padre del romanziere
(Kingsley Amis, scrittore, poeta e critico letterario che passò dal comunismo
al conservatorismo dopo l’invasione dell’Ungheria da parte dell’Unione
Sovietica), definendolo “un razzista, uno zoticone antisemita, un
ubriacone, misogino e omofonico”. Niente male, insomma.
L’attacco di Eagleton
è la goccia che ha fatto traboccare il vaso delle polemiche, che in questi
giorni infiammano le pagine culturali inglesi. Ma procediamo con ordine.
Qualche giorno dopo le accuse da parte dell’autore di “Ideology: An
Introduction”, Martin Amis partecipa ad un dibattito al londinese
Institute of Contemporary Arts. E se da un lato rifiuta di commentare le parole
del collega, non rinuncia a rinnovare le sue accuse contro l’Islam militante
che definisce “un velenoso culto della morte” e “un’ideologia
mortifera”. Ma ce n’è anche per l’Islam moderato, che non è stato in grado
di mettere all’angolo il fondamentalismo “legittimando tacitamente le
posizioni più estreme”. Il fondamentalismo islamico, secondo il romanziere,
va paragonato a Nazismo, Trotskysmo e Maoismo: da qui anche la consapevolezza
che la guerra dell’Occidente contro Al-Qaeda sarà lunga e dolorosa.
È a questo punto che
la polemica torna sui quotidiani. Sul The Guardian del 19 novembre, lo
scrittore irlandese Ronan Bennett interviene sulla questione con un articolo
dal titolo “Shame On Us”: “Le idee di Amis sono sintomatiche di
una più larga e profonda ostilità nei confronti dell’Islam e d’intolleranza per
la diversità”. Secondo Bennett, l’islamofobia può eccome essere razzismo:
perché pur essendo una religione e non una razza, “una religione non
riguarda solo la fede ma anche l’identità, lo stile di vita e la cultura, e i
mussulmani sono irresistibilmente non-bianchi”. Insomma, se Martin Amis
attacca l’Islam può essere definito razzista: “L’islamofobia è razzismo,
così come lo è l’antisemitismo”. A sostegno delle sue tesi, Bennett cita
poi altre affermazioni di Amis non contenute nell’articolo dell’Observer,
nonostante – secondo lo scrittore irlandese – Amis celi spesso le sue invettive
dietro la scusa che ad essere attaccato da lui è il solo Islam radicale.
Siamo agli sgoccioli,
e a scendere in campo – in perfetta par
condicio, dopo i due attacchi di Eagleton e Bennett – sono i difensori di
Martin Amis: Christopher Hitchens – autore, giornalista e critico, columnist di
Vanity Fair – e Ian McEwan – forse lo scrittore inglese più celebre,
autore di “Espiazione” (Einaudi 2002) e del recentissimo “Chesil
Beach” (Einaudi 2007).
Secondo Hitchens, Bennett
ha sbagliato ad attaccare Amis: “Un razzista è un razzista precisamente
perché non riesce a distinguere tra un ebreo e un altro ebreo, o un asiatico, o
un indiano o un ceceno”, ma Amis sa distinguere bene tra l’Islam e l’Islam
fondamentalista. “Io ho criticato tanto Mark Steyn quanto Oriana Fallaci
per aver scritto troppo ossessivamente di demografia applicata all’immigrazione
mussulmana. Ma ogni volta che critico qualche pratica religiosa reazionaria, io
stesso sono subito accusato di insultare due miliardi di mussulmani”.
Quindi? Quindi, se è fondamentale distinguere tra Islam e Islam radicale,
quando si attacca il fondamentalismo non si deve essere accusati di razzismo,
prendendo il particolare per il tutto.
Più sbrigativo, nella
sua difesa, McEwan: “Settant’anni fa, un critico dell%27Unione Sovietica
poteva aspettarsi di essere definito fascista. Qualcosa di simile accade oggi
in relazione all’Islam, specialmente sulle pagine del Guardian“.
Secondo McEwan bisogna essere liberi di attaccare l’Islam, così come tutte le
religioni: molti dei contenuti dell’Antico Testamento – argomenta il romanziere
– possono apparire oggi moralmente ripugnanti, e “mi piacerebbe essere
libero di dirlo”. Allo stesso modo, vi sono aspetti dell’Islam quantomeno
criticabili: e farlo, chiude McEwan rivolgendosi al collega irlandese Bennett,
“non è essere razzisti, ma esercitare il dono della consapevolezza e il
privilegio della libertà”. Due a due: ma la sensazione è che siamo solo a
fine primo tempo.